di Pier Giorgio Cecchini
Pubblicato in Il fisco in novembre 2014
Sommario:
1. Premessa
4. Il contratto servizio energia
5. Fonti rinnovabili e cogenerazione
Quale aliquota Iva per la fornitura di energia per uso domestico
L’aliquota Iva agevolata del 10% sulla fornitura di energia termica (riscaldamento, condizionamento e acqua calda) a favore di privati può applicarsi soltanto al verificarsi di stringenti condizioni che devono ricorrere congiuntamente: a) uso domestico, b) distribuzione tramite teleriscaldamento o con contratto servizio energia, c) uso di fonti rinnovabili o di cogeneratori ad alto rendimento. Nell’interpretare la norma agevolativa Iva, così sintetica nella sua formulazione, occorre confrontarsi con una legislazione in materia di produzione e distribuzione dell’energia che si è fatta via via sempre più analitica, e di cui occorre necessariamente tenere conto per evitare indebite fruizioni di risparmi di imposta.
La fornitura di energia termica, cioè il riscaldamento e condizionamento di ambienti e la fornitura di acqua calda sanitaria, è soggetta all’aliquota agevolata del 10% soltanto al ricorrere congiunto delle seguenti condizioni, indicate al n. 122) della Tabella A, Parte III, del D.P.R. n. 633/19721:
a) uso domestico;
b) distribuzione attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento (b.1) oppure nell’ambito del contratto servizio energia (b.2);
c) produzione da fonti rinnovabili (c.1) oppure da impianti di cogenerazione ad alto rendimento (c.2).
Alle medesime condizioni è parimenti agevolata la fornitura di apparecchiature e materiali finalizzate a produrre e distribuire energia termica: caldaie, cogeneratori, pompe, tubi e macchinari per il teleriscaldamento, ecc.
La disposizione è stata modificata dalla Finanziaria 20072; la precedente versione del n. 122) applicava, molto genericamente, l’Iva agevolata alle “prestazioni di servizi relativi alla fornitura e distribuzione di calore-energia per uso domestico”. Sebbene la relazione illustrativa alla Finanziaria 2007 sia stata assai laconica sul punto, è ragionevole ritenere che la modifica abbia avuto lo scopo di incentivare il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni inquinanti.
Si riscontra con una certa frequenza, da parte di operatori del settore, l’assoggettamento ad aliquota agevolata (10%) di forniture termiche che invece dovrebbero essere tassate con aliquota piena (22%) per carenza di alcuni dei requisiti richiesti.
E talvolta ciò avviene per il poco commendevole intento di distorcere la concorrenza, praticando prezzi più bassi nei confronti di soggetti, quali privati e condomini, che non possono detrarre l’Iva e per i quali, dunque, la più bassa aliquota determina risparmi considerevoli.
Ebbene, il fornitore di energia termica deve essere consapevole che così facendo si espone al rischio di accertamenti tributari i quali, in caso di condotte protratte nel tempo, possono essere anche di considerevolissimo importo. Rischio dal quale non va indenne neppure l’utente finale, considerato che il fornitore-debitore di imposta ha azione di rivalsa per il recupero dell’Iva accertata ex art. 60 del D.P.R. n. 633/1972.
Dunque, per avere diritto all’agevolazione, occorre la ricorrenza contemporanea sia della condizione a) che di almeno una delle due condizioni di cui al punto b) che, infine, di almeno una delle due condizioni di cui al punto c); altrimenti dovrà necessariamente essere applicata l’aliquota ordinaria (attualmente il 22%)3.
Per la verità vi è chi ha sostenuto che siano sufficienti le prime due condizioni a) e b), essendo la condizione c) separata dalle altre due da un punto e virgola4. Tuttavia pare ineludibile la posizione assunta in proposito dall’Agenzia delle Entrate, la quale, in relazione alla fornitura di energia per uso domestico mediante contratto servizio energia (condizioni a. e b.2), ha precisato che “il beneficio di cui trattasi potrà applicarsi alle prestazioni di servizi rese, nell’ambito del contratto servizio energia, per la fornitura di energia termica derivante da fonte rinnovabile o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento”5 (richiedendo dunque il verificarsi anche della condizione c.1 o c.2).
È dunque opportuno esaminare in modo analitico i requisiti necessari per applicare l’aliquota agevolata.
Presupposto indispensabile perché possa essere applicata l’aliquota agevolata è che l’energia termica venga erogata per “uso domestico”.
Tale condizione si realizza soltanto quando la fornitura di energia termica è resa nei confronti di soggetti:
1) consumatori finali,
2) che impiegano l’energia elettrica o termica nella propria abitazione o in analoghe strutture a carattere collettivo, sia pubbliche che private, caratterizzate dal requisito della “residenzialità”.
Quanto al requisito 1), l’utilizzatore è consumatore finale quando non utilizza l’energia nell’esercizio di imprese o per effettuare prestazioni di servizi rilevanti ai fini Iva, neppure in regime di esenzione6.
Quanto al requisito 2), nessun problema interpretativo si pone sull’utilizzo dell’energia nella propria abitazione, sia esso per uso personale o familiare. Sull’utilizzo di energia in strutture a carattere collettivo, ed in particolare sul concetto di “residenzialità” che le deve contraddistinguere, è invece necessaria una precisazione. “Residenzialità” è un connotato da non confondere con “ricettività”, in quanto, a differenza di quest’ultimo, comporta che la permanenza all’interno della struttura collettiva si realizzi in modo stabile e duraturo nel tempo, venendosi l’“abitazione collettiva” a sostituirsi, in definitiva, in tutto o in parte alla “abitazione personale”. Così, non è stato considerata per uso domestico la fornitura di servizi energetici ad una struttura ospedaliera, considerato che la degenza dei pazienti assume carattere limitato nel tempo7.
Dai pronunciamenti dell’Agenzia delle Entrate è possibile individuare una casistica delle ipotesi di impiego di energia per uso domestico. E’ considerato tale l’uso in abitazioni, caserme, scuole, asili, case di riposo, conventi, orfanotrofi, brefotrofi, carceri.
Per converso non è considerato domestico l’uso nelle strutture di servizio annesse agli edifici residenziali quali ad esempio, per le strutture militari, i comandi, uffici, depositi, officine, spacci e servizi vari.
Neppure si ravvisa “l’uso domestico” nelle somministrazioni dirette a soddisfare i bisogni di ambienti destinati ad uffici, sia pubblici che privati, essendo tali strutture prive del requisito della residenzialità8.
Infine, come già precisato, non si considera domestico l’uso di energia in strutture ospedaliere.
Ancora, quando tra fornitore di energia e consumatore finale si interponga un terzo soggetto (nel caso specifico una cooperativa) il quale provveda a redistribuire detta energia per mezzo della propria rete di distribuzione a favore dei soci, consumatori finali, l’uso domestico non si realizza nel primo passaggio, in quanto il soggetto interposto non è consumatore finale, mentre si verifica nel secondo9.
Qualora la fornitura sia a favore di utenze miste, in parte ad uso domestico ed in parte ad uso diverso (ad esempio condomini in cui siano presenti unità immobiliari destinate ad uso domestico e unità immobiliari con destinazione diversa quali negozi, uffici, palestre, eccetera), occorre la distinta contabilizzazione dei consumi attraverso contatori separati; sono comunque sufficienti due contatori, di cui uno per gli usi domestici ed uno per quelli diversi, non essendo necessario installare tanti contatori quante sono le utenze servite. Non sono considerati invece soddisfacenti ai fini della discriminazione dei consumi eventuali soluzioni tecniche che adottino criteri di ripartizione non oggettivi o presuntivi come, ad esempio, la suddivisione in proporzione al valore della proprietà di ciascun condomino10.
Alla luce di ciò, deve dunque ritenersi superata la prassi ministeriale che riteneva in ogni caso domestico l’uso di energia da parte di un condominio11.
La categoria catastale di appartenenza dell’unità immobiliare destinataria della fornitura di energia può fornire indicazioni utili ai fini del trattamento Iva, essendo evidente che l’uso domestico potrà ravvisarsi unicamente riguardo ai fabbricati abitativi di categoria A (con esclusione degli A/10, cioè agli uffici) e a taluni fabbricati di categoria B12, con esclusione invece delle categorie C, D, E ed F.
Secondo presupposto indispensabile perché possa essere applicata l’aliquota agevolata è che l’energia termica venga erogata attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento oppure nell’ambito del contratto servizio energia.
Quanto al teleriscaldamento, la più recente definizione che il legislatore ne ha fornito è contenuta nel D.Lgs. 3 marzo 2011, n. 28, concernente la promozione dell’uso di energia da fonti rinnovabili, e per la precisione all’art. 2, ove si precisa che esso consiste nella “distribuzione di energia termica in forma di vapore, acqua calda o liquidi refrigerati, da una o più fonti di produzione verso una pluralità di edifici o siti tramite una rete, per il riscaldamento o il raffreddamento di spazi, per processi di lavorazione e per la fornitura di acqua calda sanitaria”.
In sostanza il teleriscaldamento rappresenta una forma di somministrazione di energia termica che consiste nella distribuzione, attraverso una rete di tubazioni isolate e interrate, di fluidi termoconvettori (acqua calda, acqua surriscaldata o vapore nel caso di riscaldamento, acqua refrigerata nel caso di condizionamento), provenienti da una grossa centrale di produzione, ad una pluralità di edifici, con successivo ritorno dei suddetti alla stessa centrale. Esso costituisce un mezzo di distribuzione dell’energia in grado di ridurre la spesa energetica, in particolare se abbinato a centrali di cogenerazione (descritte successivamente), in quanto consente di installare un grande impianto in luogo di tante piccole caldaie, meno efficienti e ad alto impatto ambientale quanto ad emissioni inquinanti.
Dubbi sul diritto all’agevolazione potrebbero porsi nel caso in cui la rete appartenesse a privati nonché nel caso in cui tutti i terreni attraversati dalle tubazioni appartenessero a privati. Tanto si riferisce in quanto il n. 122) cita le sole reti “pubbliche” di teleriscaldamento, con ciò lasciando intendere che siano fuori dalla portata dell’agevolazione le reti non in mano pubblica o, in una ipotesi meno restrittiva, le reti che non siano realizzate, almeno in parte, su suolo pubblico.
Chi scrive è propenso a scartare entrambe le interpretazioni, in quanto prive di logica e non coerenti con lo scopo di incentivare il risparmio energetico e la riduzione delle emissioni inquinanti; scopo che è proprio della modifica del n. 122) operata dalla finanziaria 2007; verosimilmente, dunque, all’inciso “pubbliche” va dunque semplicemente attribuito il significato “collettive”, cioè di reti al servizio di una pluralità di edifici13.
Un’ultima notazione: precisa il GSE che, per aversi teleriscaldamento, la rete di tubazioni deve svilupparsi su terreni pubblici ovvero su più terreni privati, in ogni caso non esclusivamente riconducibili all’operatore14.
Di tale requisito non vi è ombra non soltanto nella (per così dire postuma) definizione che del teleriscaldamento dà il D.Lgs. n. 28/2011 ma neppure nella prassi dell’Agenzia delle Entrate. Pertanto quand’anche le tubazioni attraversino terreni riconducibili unicamente all’operatore e non anche ad altri soggetti privati o al demanio, vi sarà diritto all’agevolazione Iva, purché – beninteso – sia servita una pluralità di edifici. Per converso una mera rete di distribuzione di energia al servizio di un unico edificio non consentirà di fruire dell’agevolazione. In tal caso qualora l’operatore voglia applicare tariffe con Iva al 10% [constando la ricorrenza delle altre condizioni a) e c)], dovrà necessariamente adottare il contratto servizio energia.
Si è precisato che il secondo presupposto indispensabile perché possa essere applicata l’aliquota agevolata è che l’energia termica venga erogata attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento oppure nell’ambito del contratto servizio energia.
Del teleriscaldamento si è già detto. Quanto al contratto servizio energia, si tratta di un contratto che disciplina l’erogazione dei beni e servizi necessari alla gestione ottimale ed al miglioramento del processo di trasformazione e di utilizzo dell’energia.
Il contratto servizio energia ha ricevuto una prima, per quanto vaga, definizione normativa con il D.P.R. n. 412/199315; in tale provvedimento si rimandava la regolamentazione particolareggiata della materia ad un decreto interministeriale di successiva emanazione.
Nel frattempo l’Agenzia delle Entrate aveva ritenuto che il contratto servizio energia potesse beneficiare dell’aliquota Iva agevolata16 e, in attesa del citato decreto interministeriale che avrebbe dovuto disciplinare la figura contrattuale, con circ. n. 273/E del 23 novembre 1998 aveva provvisoriamente indicato i due requisiti del fornitore ed i dieci requisiti del contratto che dovevano sussistere perché questo potesse definirsi contratto servizio energia.
La citata circolare individuava già allora gli elementi qualificanti del contratto servizio energia, confermati da tutte le norme sin qui succedutesi: acquisto dei combustibili a carico del fornitore17 ed introduzione di un contatore di calore18. Si determina così una contrapposizione di interessi tra fornitore ed utenza che assicura il massimo risparmio energetico: il gestore avrà infatti tutto l’interesse a consumare la minore quantità possibile di combustibile, a parità di calore ceduto all’utenza, mentre l’utente finale avrà interesse a consumare la minore quantità possibile di calore, programmando con oculatezza il riscaldamento della propria abitazione.
Alla luce dell’intervento dell’Amministrazione, dovevano ritenersi, allora come oggi, non agevolabili ai fini Iva alcune tipologie contrattuali, diffusesi dopo l’entrata in vigore del D.P.R. n. 412/1993, non adeguate a responsabilizzare al corretto uso del riscaldamento il gestore e gli utenti perché non fondate sui consumi effettivi di calore; non sono agevolabili, in particolare, il contratto forfettario, che prevede l’addebito forfettario sulla base dei consumi degli anni precedenti, il contratto a gradi/giorno, che commisura l’addebito sulla base delle temperature rilevate in zona al termine della stagione invernale, ed il contratto a ore calore, dove l’addebito è appunto commisurato alle ore di erogazione del calore.
I requisiti della circ. n. 273/1998, si ribadisce, erano stati indicati dall’Agenzia in via provvisoria, nelle more dell’emanazione del decreto interministeriale19.
Tuttavia il decreto interministeriale non fu mai varato, e dopo molti anni il D.Lgs. 30 maggio 2008, n. 115 intervenne a disciplinare il tipo contrattuale in suo luogo20. In ragione di ciò, deve oggi ritenersi superata e non più applicabile la circ. n. 273/E, essendosi verificata di fatto la condizione per così dire risolutiva a cui ne era subordinata la validità21.
La circostanza non è priva di ricadute pratiche, poiché, in conformità al D.Lgs. n. 115/2008, all. II, per aversi contratto servizio energia occorre che si verifichino i medesimi due requisiti in capo al fornitore (tre per i contratti “plus”) ma diciotto requisiti in capo al contratto (ventidue per i contratti “plus”), in luogo dei dieci complessivamente previsti dalla circ. n. 273/E.
La conseguenza per gli operatori è che, in caso di accertamento tributario, essi dovranno dimostrare che il contratto è conforme ai nuovi e stringenti requisiti del D.Lgs n. 115/2008, e non a quelli della circ. n. 273/E, per evitare riprese a tassazione dovute all’erronea applicazione dell’aliquota Iva.
Tra i nuovi requisiti introdotti dal D.Lgs. n. 115/2008 spicca in particolare la previsione del raggiungimento, nel primo anno di esercizio del contratto, di una riduzione dell’energia consumata di almeno il 5% rispetto a quello risultante dall’attestato di prestazione energetica vigente22. La norma del 2008 ha anche introdotto una versione “plus” del contratto, ove la previsione di riduzione del consumo di energia deve essere di almeno il 10% rispetto a quello vigente. Si osserva incidentalmente che la norma assimila il contratto “plus” alla locazione finanziaria ai fini della fruizione di agevolazioni fiscali, sicché consente agli utenti finali, tra l’altro, di usufruire della detrazione d’imposta prevista per la riqualificazione energetica degli edifici esistenti23.
Terzo presupposto indispensabile perché possa essere applicata l’aliquota agevolata è che l’energia termica venga prodotta da fonti rinnovabili oppure da impianti di cogenerazione ad alto rendimento.
Quanto alle fonti rinnovabili, si tratta sostanzialmente di risorse che si rigenerano alla stessa velocità con le quali vengono consumate o non sono esauribili (a differenza dei combustibili fossili), e che generalmente hanno la peculiarità di essere pulite.
Per il caso che qui ci interessa sono fonti rinnovabili le biomasse24, dalle quali si ricavano i combustibili in grado di azionare gli impianti di produzione di energia termica. Così ad esempio è biomassa il biodiesel, ottenuto dalla colza e dalla soia e frequentemente impiegato per azionare i cogeneratori.
Quanto alla cogenerazione, essa consiste nella produzione contemporanea di energia termica ed elettrica. Gli impianti di cogenerazione sono costituiti da un motore, ad esempio a combustione interna, che aziona un generatore di corrente elettrica, dove l’energia termica prodotta (in questo caso il fluido di raffreddamento del motore) viene utilizzata per il riscaldamento di ambienti.
Gli impianti di cogenerazione presentano generalmente un’efficienza complessiva largamente superiore ai sistemi tradizionali di produzione energetica, ed è questo il motivo per il quale il loro impiego è agevolato.
Qualora il sistema produca contemporaneamente energia elettrica e calore in inverno, ed energia elettrica e freddo in estate, viene chiamato “sistema a trigenerazione”, e non vi è motivo di dubitare che anche ad esso si applichi l’aliquota agevolata.
Per aversi cogenerazione ad alto rendimento, come richiesto dal n. 122), occorre che l’impianto rispetti i vincoli, in termini di risparmio energetico, definiti nel D.Lgs. 8 febbraio 2007, n. 20, come integrato dal D.M. 4 agosto 2011.
Come precisato, la cogenerazione produce anche energia elettrica; essa, se impiegata per uso domestico, è assoggettata all’aliquota del 10% indipendentemente dal ricorrere di altre condizioni25.
In conclusione, occorre ancora una volta rimarcare che la produzione di energia termica ad uso domestico da fonti rinnovabili o per cogenerazione ad alto rendimento non sono circostanze sufficienti per usufruire dell’aliquota Iva del 10%; in assenza di distribuzione tramite teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia, infatti, la fornitura dovrà comunque essere necessariamente assoggettata all’aliquota del 22%.
Note:
[1] Recita espressamente tale norma che sono soggette all’aliquota del 10% le “prestazioni di servizi e forniture di apparecchiature e materiali relativi alla fornitura di energia termica per uso domestico attraverso reti pubbliche di teleriscaldamento o nell’ambito del contratto servizio energia, come definito nel decreto interministeriale di cui all’articolo 11, comma 1, del regolamento di cui al D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, e successive modificazioni; sono incluse le forniture di energia prodotta da fonti rinnovabili o da impianti di cogenerazione ad alto rendimento; alle forniture di energia da altre fonti, sotto qualsiasi forma, si applica l’aliquota ordinaria.”.
[2] Art. 1, comma 384, L. 27 dicembre 2006, n. 296.
[3] In termini di algebra di Boole, affinché il beneficio fiscale ricorra, dovranno dunque essere soddisfatte le seguenti condizioni: condizione a) AND [condizione b.1) OR condizione b.2)] AND [condizione c.1) OR condizione c.2)].
[4] Così M. Setti, Ancora sull’aliquota Iva per forniture di metano ed energia elettrica ad ENC, in “Enti non profit” n. 7/2007.
[5] Ris. n. 94/E del 10 maggio 2007.
[6] Circ. n. 82/E del 7 aprile 1999.
[7] Ris. n. 21/E del 28 gennaio 2008.
[8] Circ. n. 82/E del 7 aprile 1999.
[9] Ris. n. 28/E del 1° aprile 2010.
[10] Ris. n. 150/E del 15 dicembre 2004.
[11] Circ. n. 59 del 29 ottobre 1977.
[12] In particolare appaiono suscettibili di “residenzialità” le seguenti categorie del gruppo B:
• B/1 Collegi e convitti, educandati; ricoveri; orfanotrofi; ospizi; conventi; seminari; caserme;
• B/2 Case di cura ed ospedali (senza fine di lucro);
• B/3 Prigioni e riformatori;
• B/5 Scuole;
• B/7 Oratori.
[13] Curiosamente il legislatore ha usato l’inciso “pubbliche” riferito alle reti di teleriscaldamento unicamente nella finanziaria 2007, forse ritenendolo superfluo nelle successive occasioni in cui è intervenuto in materia.
Sulla questione non constano prese di posizione esplicite dell’Agenzia; si consideri tuttavia come nella già citata Ris. n. 28/E del 1° aprile 2010, riferita ad un interpello nel quale l’istante incidentalmente precisa come la rete, benché̀ di sua proprietà, possa comunque essere considerata quale “rete pubblica di teleriscaldamento”, l’Agenzia giunga a negare il diritto all’agevolazione, ma sulla base di considerazioni diverse da tale circostanza.
[14] Documento GSE: Incentivazione della produzione di energia termica da impianti a fonti rinnovabili ed interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni; Regole applicative del D.M. 28 dicembre 2012, aggiornamento del 4 dicembre 2013.
[15] Art. 1, comma 1, lett. p) 1, del D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412.
[16] Ris. n. 103/E del 20 agosto 1998.
[17] Punto 3 della circ. n. 273/E: “acquisto e gestione a cura dell’impresa dei combustibili che alimentano il processo per la produzione del fluido termovettore, necessario all’erogazione del calore – energia termica agli edifici”.
[18] Punto 4 della circ. n. 273/E: “misurazione e contabilizzazione, a cura dell’impresa, dell’energia termica utilizzata dall’utenza”.
[19] Ris. 94/E del 10 maggio 2007, per la quale “nelle more dell’emanazione del menzionato decreto si ritiene che possano comunque usufruire dell’aliquota Iva agevolata i contratti servizio energia che presentano i criteri minimali elencati nella circolare n. 273/E del 23 novembre 1998”.
[20] L’art. 11, comma 1 del D.P.R. n. 412/1993, che demandava la regolamentazione analitica del contratto servizio energia ad un decreto interministeriale di successiva emanazione, è stato modificato dall’art. 19 del D.Lgs. n. 115/2008, il quale ha soppresso il riferimento a tale decreto, avendo provveduto il D.Lgs. stesso a normare la materia.
[21] La caducazione della circ. n. 273/E è passata sottotraccia, se è vero che nel 2010, due anni dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. n. 155/2008, autorevole dottrina la riteneva ancora in vigore per la mancata emanazione del decreto interministeriale; si veda: S. Digregorio Natoli, Risoluzione n. 28/E del 1° aprile 2010 – Aliquota Iva per le forniture di energia, in “il fisco” n. 21/2010.
[22] Questo requisito, il più significativo, è per la verità di recente introduzione per effetto della modifica al D.Lgs. n. 115/2008 operata dall’art. 14, comma 2, del D.Lgs. 4 luglio 2014, n. 102.
[23] All. II par. 5, punto 3, lettera b) al D.Lgs. n. 115/2008. È verosimile che l’agevolazione per la riqualificazione energetica competa agli utenti finali, ad esempio condomini, in ragione del costo di realizzazione degli impianti sostenuto dal fornitore.
[24] La Direttiva Europea 2009/28/CE, ripresa da tutta la legislazione ad essa riferente, le definisce come “la frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica provenienti dall’agricoltura (comprendente sostanze vegetali e animali), dalla silvicoltura e dalle industrie connesse, comprese la pesca e l’acquacoltura, nonché la parte biodegradabile dei rifiuti industriali e urbani”.
[25] N. 103) della Tabella A, Parte III del D.P.R. n. 633/1972.