di Pier Giorgio Cecchini
Pubblicato in Il Diritto Fallimentare e delle Società Commerciali (CEDAM) in novembre 2016
Abstract: L’introduzione dell’art. 163-bis legge fallim. consente alle imprese in concordato di compiere atti dismissivi attraverso l’adozione di procedimenti competitivi anche in epoca antecedente l’omologazione; nel contempo, con la modifica dell’art. 182, si estendono a tali atti gli effetti purgativi dai diritti di prelazione e liberatori nei confronti del cessionario per i debiti dell’azienda ceduta. L’autore, ad un anno dalla riforma ad opera della L. n. 132/2015, analizza le diverse questioni emerse sulla concreta applicazione delle nuove norme, le quali consentono di effettuare realizzi di beni ed aziende in tempi rapidi ed al miglior prezzo possibile, a tutto beneficio dei creditori.
Sommario:
1. Premessa
2. I vincoli all’offerta originaria.
4. Le condizioni nell’offerta originaria.
5. Indelegabilità della vendita.
6. Il divieto di accollo di debiti.
8. Comparabilità e cessioni di aziende.
9. L’art. 47, L n.. 428/1990 e gli accordi derogatori all’art. 2112 c.c.
10. La competitività è la regola delle vendite concordatarie?
11. Cessione d’azienda e soglia del 20%.
12. L’affitto-ponte dell’azienda.
13. Sorte della prelazione e dei contratti preliminari.
14. Destinazione del ricavato della vendita.
Ad un anno dalla introduzione dell’art. 163-bis della legge fallimentare è ora possibile delineare un quadro dettagliato del suo ambito di operatività e modalità di applicazione, sulla scorta di alcuni provvedimenti di tribunali nonché di diversi interventi dottrinali nel frattempo intervenuti.
Come noto, l’art. 163-bis, nel disciplinare le offerte concorrenti, ha introdotto la possibilità di effettuare la cessione di aziende e di specifici beni1 e l’affitto di aziende, purché con modalità competitive, in epoca anteriore alla omologazione del concordato, superando l’ostacolo ideologico, derivante da una interpretazione contrattualistica della disciplina del concordato preventivo, secondo il quale non potevano essere compiuti atti dismissivi prima che i creditori si fossero espressi sulla proposta concordataria e che questa fosse stata sottoposta al vaglio dell’omologazione. Inoltre con la contestuale modifica dell’art. 182, comma 5, si sono estese alla fase ante omologa gli effetti purgativi dai diritti di prelazione e liberatori nei confronti del cessionario per i debiti dell’azienda ceduta.
Per la verità prima della novella del 2015 le offerte concorrenti non erano sconosciute al sistema, ma erano relegate a casi sporadici (i più eclatanti sono stati il concordato San Raffaele e La Perla) imposti dalla estrema urgenza di procedere ad una vendita rapida per evitare il deprezzamento degli assets, ed erano ostacolate dalla incertezza se a tali vendite si estendessero o meno detti effetti purgativi e liberatori, all’epoca esplicitamente previsti solo per le vendite post omologa.
Il nuovo assetto normativo, riguardante sia i concordati liquidatori che in continuità, deve essere accolto positivamente, in quanto consente di effettuare il realizzo di beni ed aziende in modo rapido ed al miglior prezzo possibile, a tutto vantaggio dei creditori.
Recita l’art. 163-bis, comma 3, che «Se sono state presentate più offerte migliorative, il giudice dispone la gara tra gli offerenti». Dunque, la gara può tenersi soltanto nel caso in cui giungano due o più offerte concorrenti migliorative rispetto all’offerta originaria.
In tal caso, non pare che possa partecipare alla gara anche colui che ha formulato l’offerta originaria, salvo che a sua volta abbia presentato un’offerta migliorativa; tanto si desume, oltre che dal tenore letterale del comma 3, dalla circostanza che altrimenti la norma consentirebbe la tenuta della gara pure in presenza di una sola offerta migliorativa.
La conseguenza logica è che se vi sono offerte migliorative di terzi (anche soltanto una) e l’offerente originario non rende a sua volta un’offerta migliorativa, egli perderà in ogni caso l’affare. Infatti:
– nel caso in cui consti un’unica offerta migliorativa e il potenziale acquirente risultante dal piano non abbia migliorato la propria, non si terrà alcuna gara e dunque il bene verrà venduto a chi ha presentato quest’ultima;
– nel caso in cui vi siano due o più offerte migliorative, all’offerente originario sarà comunque preclusa la partecipazione alla gara ed il bene verrà aggiudicato ad uno degli altri offerenti2–3.
Dunque, per evitare di essere escluso dalla eventuale gara, è opportuno che il soggetto che ha formulato l’offerta originaria ne formuli successivamente una nuova offrendo il prezzo base della gara. Solo così gli sarà possibile competere con altri (uno o più) offerenti.
Il prezzo base è stabilito nel decreto che istituisce la gara, il quale deve indicare «l’aumento minimo del corrispettivo di cui al primo comma del presente articolo (cioè dell’offerta originaria) che le offerte devono prevedere»; dunque esso dovrà essere necessariamente maggiore di quello dell’offerta originaria4.
Di tale aumento per così dire forzoso sarà bene che l’offerente tenga conto in sede di formulazione dell’offerta originaria, riducendo conseguentemente il primo prezzo formulato. Osservo incidentalmente che l’aumento minimo, sebbene debba essere appunto … minimo5, è opportuno sia non inferiore ai costi della gara (pubblicità, trascrizioni etc.), per consentire il recupero dei costi sostenuti; in ogni caso, però, è bene che l’aumento non sia neppure tanto consistente da dissuadere potenziali offerenti, compreso quello originario, dal partecipare alla gara, poiché è esperienza comune che tanto più bassa è la base d’asta, tanto più elevata è la probabilità che si creino dinamiche al rialzo tali da incrementare sensibilmente il prezzo di aggiudicazione.
Segnalo che l’interpretazione secondo la quale l’aumento minimo sarebbe obbligatorio non è stata adottata dal tribunale di Bologna in un caso recentemente trattato (inedito), ove il prezzo base della gara è stato fissato in misura pari al corrispettivo dell’offerta originaria, quindi senza prevedere alcun aumento, ed è stato consentito all’offerente originario di partecipare alla gara, sebbene questi non abbia reso alcuna offerta migliorativa. L’intento è chiaro e lodevole: promuovere la partecipazione del maggior numero possibile di soggetti alla gara ai fini della formulazione del prezzo più alto possibile. Tuttavia la norma non pare lasciare spazio a questa interpretazione.
Va innanzitutto precisato che, per espressa previsione normativa, l’offerta suscettibile di attivare la procedura competitiva ex art. 163-bis sarà solo e soltanto un’offerta che l’imprenditore in crisi abbia “compreso” nel piano, cioè che egli abbia fatto propria ponendola a base della proposta concordataria, e non invece una qualunque offerta ricevuta, quand’anche enunciata nel piano a supporto dei valori sui quali si basa la proposta. Ragionare al contrario significherebbe negare la natura sostanzialmente negoziale del concordato preventivo6, impedendo al debitore di modellare a propria discrezione il piano e la proposta da sottoporre al voto dei creditori (ferma restando la regola della competitività nei termini illustrati al cap. 10).
Ciò premesso, si è posto il dubbio se l’offerta originaria debba essere irrevocabile o meno.
Le offerte concorrenti debbono esserlo senza alcun dubbio, posto che ai sensi del comma 2 dell’art. 163-bis «Il decreto che dispone l’apertura del procedimento competitivo stabilisce le modalità di presentazione di offerte irrevocabili».
Quanto all’offerta originaria, invece, il comma 1, che se ne occupa, menziona genericamente l’esistenza di «una offerta da parte di un soggetto già individuato», mentre precisa al comma 2 che «l’offerta di cui al primo comma (cioè l’offerta originaria) diviene irrevocabile dal momento in cui viene modificata l’offerta in conformità a quanto previsto dal decreto …».
Ciò ha fatto propendere alcuni commentatori per l’ipotesi che l’offerta originaria non debba essere necessariamente irrevocabile7.
Si discosta da questa interpretazione il tribunale di Modena, il quale richiede l’irrevocabilità dell’offerta originaria, allo scopo di evitare i costi e l’attività burocratica connessi con l’instaurazione di un procedimento competitivo in assenza di un serio impegno da parte del mercato.
Sempre allo stesso scopo di evitare procedimenti competitivi frivoli, il tribunale di Modena ritiene ammissibili le offerte originarie per persona da nominare soltanto qualora l’offerente si assuma la responsabilità del pagamento del terzo. A ben vedere l’art. 163-bis richiede che l’offerta originaria sia formulata da un “soggetto già individuato” e questo inciso potrebbe autorizzare una interpretazione ancora più restrittiva sul punto, escludendo che una offerta per persona da nominare, anche se garantita ex art. 1381 c.c. dall’offerente originario, possa essere posta a base della procedura competitiva.
Taluni tribunali non ammettono la partecipazione alla gara neppure di offerte concorrenti per persona da nominare8 oppure la ammettono a condizione che l’offerente concorrente si assuma la responsabilità del pagamento del terzo9, con ciò discostandosi da quanto previsto dall’art. 579 cod. proc. civ. in tema di vendite coattive e sebbene l’obbligo di prestazione della garanzia valga a scoraggiare offerte concorrenti inaffidabili. Altri tribunali invece ammettono le offerte concorrenti per persona da nominare10.
Non sembra, dal tenore dell’art. 163-bis, che l’offerente originario debba prestare alcuna garanzia11; in ogni caso, qualora questi l’abbia prestata nella forma della caparra e successivamente non risulti cessionario dell’azienda all’esito dell’espletamento del procedimento competitivo, vanterà un credito di restituzione di natura prededucibile12, mentre qualora l’abbia prestata nella forma della fideiussione, essa deve essere fisicamente restituita13.
Quanto al termine di efficacia dell’offerta, esso potrebbe essere maliziosamente fissato dall’offerente originario in modo da diminuire la competitività della vendita; è infatti evidente che tempi eccessivamente ristretti del procedimento competitivo potrebbero ridurre o azzerare il numero dei possibili contendenti.
Ebbene, sul punto la giurisprudenza ha chiarito che qualora la proposta si fondi essenzialmente su un’offerta di acquisto che preveda un termine di scadenza talmente ravvicinato da impedire la pubblicizzazione dell’offerta e l’espletamento della gara competitiva, la proposta concordataria deve essere modificata al fine di estendere le restrittive condizioni temporali originarie14.
Alle stesse conclusioni deve giungersi qualora vi sia il fondato sospetto che il termine di scadenza dell’offerta originaria, seppure compatibile con la pubblicizzazione dell’offerta e l’espletamento della gara competitiva, non conceda tempo a sufficienza per un’allocazione efficiente dei beni sul mercato.
In entrambi i casi la proposta concordataria dovrà essere modificata a prescindere dalla circostanza che l’offerta originaria venga conformata o meno al maggior termine; con la spiacevole conseguenza, in quest’ultima evenienza, che l’offerente originario, quand’anche abbia reso un’offerta irrevocabile, potrà defilarsi dal procedimento competitivo qualora la gara si tenga dopo la scadenza del termine previsto dalla sua offerta. In tal caso, qualora non constino offerte concorrenti, la cessione dell’azienda o del bene non potrà essere portata a termine.
Come noto le offerte concorrenti devono essere prive di condizioni («Le offerte […] non sono efficaci […] quando sottoposte a condizione»).
Ci si interroga se l’offerta originaria possa invece contenere condizioni, da quella classica della definitività del provvedimento di omologazione (un tempo inserita per assicurare alla vendita effetto purgativo e liberatorio dai debiti aziendali pregressi, ora limitata alla funzione incentivante di un voto favorevole dei creditori, che altrimenti si vedrebbero soddisfattiti in misura più esigua da una vendita atomistica in ambito fallimentare), alla indicazione di un numero massimo di dipendenti da trasferire unitamente all’azienda, ad altre ancora.
Ebbene, l’apposizione di condizioni rientra nella normale libertà negoziale del primo offerente15; tuttavia esse dispiegheranno la loro efficacia unicamente nel caso in cui egli non si sia conformato al decreto (poiché in tale diverso caso avrà dovuto rinunciare alle condizioni) e non constino offerenti concorrenti; soltanto in tale evenienza, infatti, egli risulterà acquirente del bene sulla base dell’offerta originaria16.
In taluni casi l’impossibilità di porre condizioni nelle offerte concorrenti può porre fuori gioco molti contendenti, così avvantaggiando l’offerente originario.
È il caso, ad esempio, di due società in concordato delle quali una possegga un’azienda e l’altra l’immobile all’interno del quale l’attività viene svolta; qualora si tratti di azienda non agevolmente trasferibile in altro luogo, vuoi per i costi di trasloco o per altre ragioni, sia l’offerente originario che quelli concorrenti avranno interesse ad acquistare entrambi i cespiti, oppure a non acquistarne nessuno.
Tuttavia soltanto l’offerta originaria potrà condizionare l’acquisto dell’azienda all’acquisto dell’immobile e viceversa, mentre ciò sarà precluso alle offerte concorrenti, col risultato che nessuna ulteriore offerta verrà presentata e quella originaria risulterà aggiudicataria del bene.
Certo, nulla impedisce che il tribunale disponga un’unica gara per la vendita congiunta sia dell’azienda che dell’immobile, così rendendo superflua ogni condizione, al fine di attrarre soggetti che altrimenti non vi parteciperebbero.
Tuttavia, se esiste un diritto del creditore di società in concordato a che la procedura di cui all’art. 163-bis esprima il miglior prezzo possibile (e depone in tal senso il comma 4 del medesimo articolo, nell’imporre la revisione della proposta e del piano concordatari all’esito della gara17, sì da assicurare ai creditori che tutto il prezzo dell’aggiudicazione sia distribuito a loro favore), allora il meccanismo della gara unica per la vendita di beni appartenenti a più società lo mette a repentaglio, quel diritto.
E ciò in quanto la ripartizione dell’unico ricavato della vendita congiunta sui cespiti appartenenti a società diverse non può che essere effettuata su base convenzionale, con l’evidente rischio di “travasare” parte delle risorse finanziarie così conseguite dall’una all’altra società.
Più appropriata appare una fusione autorizzata in corso di procedura avente efficacia antecedente alla gara, e quindi non condizionata alla definitività del provvedimento di omologazione18; in questo modo i diversi cespiti confluiranno in un patrimonio comune che potrà essere oggetto di una vendita unitaria. Così ad esempio il tribunale di Modena ha autorizzato la stipulazione, in pendenza della fase prenotativa, di un atto di fusione avente l’efficacia immediata prevista dall’art. 2504-bis c.c. e non condizionata alla definitività del provvedimento di omologazione, argomentando che tale operazione consente «la favorevole cessione unitaria di un ramo di azienda la cui organizzazione prevede, allo stato, l’utilizzo di beni mobili e immobili appartenenti a entrambe le società» 19.
Il diritto di opposizione ex art. 2503 c.c. assicura che tale operazione possa essere effettuata soltanto con il consenso (o meglio, il silenzio-assenso) dei creditori oppure, in caso di opposizione, con il placet del tribunale delle imprese ex art. 2445, ultimo comma, c.c. Consenso e placet da acquisire, ovviamente, prima di sottoporre l’operazione al vaglio autorizzativo del tribunale.
Contrariamente a quanto indicato da gran parte della dottrina20, la norma pare escludere che la gara possa essere tenuta dal commissario o da un professionista delegato. Ciò in quanto la norma prevede che le offerte siano rese pubbliche all’udienza fissata per l’esame delle stesse e che, nel caso in cui vengano presentate più offerte migliorative, il giudice disponga la gara fra gli offerenti. Lo scopo è di introdurre un sistema di maggior garanzia per il debitore, non spossessato, il quale è sottoposto ad una considerevole limitazione della sua autonomia negoziale e patrimoniale21.
Poiché usualmente il verbale d’asta non ha valore di contratto, gli effetti traslativi si potranno avere soltanto con un successivo decreto di trasferimento del giudice o con atto notarile, previa autorizzazione del giudice; ed è in quest’ultimo caso che il professionista notaio potrà intervenire, ma si tratterà di un ambito ben più limitato rispetto alla delega alle operazioni di vendita ex art. 591-bis cod. proc. civ.
L’acquirente di un’azienda in concordato preventivo è esonerato da responsabilità per i debiti relativi all’esercizio dell’azienda sorti antecedentemente al trasferimento, quand’anche il trasferimento avvenga prima dell’omologazione (art. 105, comma 4, richiamato dall’art. 182, comma 5).
La formula adottata, più ampia di quella dell’art. 2560, comma 2, c.c. fa ritenere che l’esonero da responsabilità riguardi anche i debiti relativi ai contratti, non integralmente eseguiti da entrambe le parti, in cui l’acquirente sia subentrato ai sensi dell’art. 2558 c.c.22.
Ma che ne è del caso in cui l’offerta originaria preveda l’accollo volontario di debiti da parte dell’acquirente?
Soccorre a questo riguardo l’art. 105, comma 6, in forza del quale ciò è possibile solo se non venga alterata la graduazione dei crediti. Tuttavia, poiché l’accollo di debiti pregressi dell’imprenditore in concordato preventivo da parte di un terzo produce tendenzialmente il soddisfacimento integrale del creditore accollato, tale effetto può essere in definitiva accettato esclusivamente con riguardo alle passività cc.dd. “superprivilegiate”, il cui soddisfacimento integrale anche in ipotesi di liquidazione alternativa (cioè fallimentare) del patrimonio dell’imprenditore non potrebbe essere messo in discussione23.
Quindi l’accollo non potrà riguardare crediti chirografari o muniti di un basso grado di privilegio, ed un’offerta così formulata sarà irricevibile.
È così risolta – in senso negativo – la questione se sia ammissibile l’istituzione di un escrow account, cioè la costituzione di un deposito presso un terzo soggetto a garanzia di eventuali sopravvenienze passive (per esempio a tutela dell’eventuale emersione di diritti risarcitori di terzi in connessione a tematiche ambientali etc.). Tale forma di garanzia, spesso utilizzata nella prassi di cessione di aziende o partecipazioni sociali, si risolverebbe in un accollo anticipato di debiti, per lo più di natura chirografaria, preesistenti alla cessione ma non ancora emersi a quell’epoca, e ciò comporterebbe una alterazione della graduazione dei crediti.
È lo stesso art. 163-bis, comma 2, a fissare il criterio di determinazione del prezzo base della gara, disponendo che, con il decreto che istituisce la gara, «è stabilito l’aumento minimo del corrispettivo di cui al primo comma del presente articolo che le offerte devono prevedere», ove per corrispettivo di cui al comma 1 si intende quello dell’offerta concorrente.
Essendo la definizione del prezzo base per così dire pressoché automatica, pare superflua la relazione di stima di un esperto (a ben vedere non obbligatoria neppure nell’ambito di una vendita effettuata secondo le disposizioni del codice di procedura civile; cfr. art. 568) o comunque la determinazione, da parte di un terzo, del valore di mercato del bene24.
Deve quindi essere fugata l’opinione secondo la quale la stima sarebbe imposta, salvo il caso di beni di modesto valore, in forza del richiamo operato dall’art. 182, comma 5, all’art. 107. Norma, quest’ultima, applicabile “in quanto compatibile”; e qui non lo è.
Peraltro è lo stesso procedimento competitivo ad assicurare la realizzazione del miglior prezzo e a scongiurare eventuali abusi, possibili unicamente in presenza di domande di concordato vincolate (o “chiuse”), oramai non più ammissibili25.
Nel caso di aziende, la stima potrà semmai essere utile ai fini previsti dall’art. 186-bis, comma 2, lett. b), quale documentazione di supporto per l’attestazione che la prosecuzione dell’attività d’impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori; ma essa (stima) dovrà avere ad oggetto non la valutazione dell’azienda in esercizio, bensì la valutazione dei beni che la compongono in ipotesi di liquidazione atomistica26. Ed in ogni caso, qualora la vendita dell’azienda venga attuata durante la fase prenotativa, il concordato non potrà essere qualificato in continuità e quindi l’attestazione non sarà dovuta, rendendo così superflua anche la stima (cfr. cap. 11).
Il decreto che dispone l’apertura del procedimento competitivo deve prevedere che sia assicurata in ogni caso la comparabilità delle offerte irrevocabili. La relazione di accompagnamento al decreto legge ha precisato che l’intervento del tribunale volto ad assicurare la comparabilità delle offerte concorrenti deve essere finalizzato a massimizzare il ricavato della liquidazione senza purtuttavia modificare l’impianto fondamentale del piano.
Pertanto l’intervento del tribunale non può limitarsi ad un mero recepimento dell’offerta originaria ma può e deve direttamente indicare le clausole ed i contenuti cui le offerte devono conformarsi per essere tra loro comparabili27.
Comparabilità che può diventare particolarmente ardua ove esse abbiano ad oggetto aziende, perché il perimetro aziendale oggetto di futura cessione può essere variamente definito (si pensi ad esempio all’individuazione di quali contratti debbano avere ad oggetto di trasferimento ai sensi dell’art. 2558 c.c. e quali no), e non è scontato che l’offerta originaria ed il pedissequo piano concordatario vi abbiano analiticamente provveduto.
Il compito di definire il perimetro aziendale è assai delicato, poiché un intervento integrativo o suppletivo non attentamente calibrato da parte del tribunale potrebbe ridurre la competitività della gara, inducendo l’offerente originario (che si era offerto di acquistare un diverso perimetro aziendale) e/o i terzi a non parteciparvi, ed in ogni caso il potere del tribunale di definire nel dettaglio il contenuto delle future offerte concorrenti non dovrebbe spingersi fino a trasformare o travolgere completamente le caratteristiche o il contenuto dell’offerta originaria, e ciò allo scopo di non intaccare il carattere negoziale che contraddistingue il procedimento28.
Proprio al fine di scongiurare questi rischi, è opportuno che tale attività venga svolta in collaborazione con il commissario, il quale potrà raccogliere ogni utile informazione presso gli estensori della domanda di concordato e presso l’offerente originario.
L’interpretazione summenzionata, secondo la quale il tribunale ha ampi poteri di intervento su clausole e contenuti ai quali le offerte concorrenti devono conformarsi, ha il pregio di legittimare anche la rettifica di altri elementi dell’offerta originaria, non strettamente legati all’individuazione del perimetro aziendale, che potrebbero avvantaggiare indebitamente chi tale offerta abbia formulato; oltre al caso già illustrato al cap. 3 dell’offerta originaria avente termine di efficacia troppo breve per consentire un’adeguata pubblicizzazione della vendita, così pregiudicando la partecipazione alla gara di un maggior numero di soggetti, si pensi all’ipotesi di un’offerta originaria e correlato piano che prevedano la corresponsione di una caparra particolarmente elevata o il pagamento del saldo prezzo in tempi assai rapidi, con la finalità di escludere dalla competizione soggetti temporaneamente illiquidi ma con ampio accesso al credito bancario. In tale caso sarà assolutamente auspicabile che il tribunale indichi una caparra più esigua o ampli i tempi di pagamento, così da consentire ad altri soggetti di partecipare alla gara al fine di lucrare un miglior prezzo di aggiudicazione29.
Nel contempo, nell’ottica di rendere le offerte comparabili tra loro, è opportuno che siano lasciati agli offerenti margini ristretti di discrezionalità sul contenuto della propria offerta, ad esempio imponendone la standardizzandone, se del caso anche tramite impiego di formulari precompilati.
Naturalmente potranno essere consentite dichiarazioni ulteriori rispetto a quelle identificative del soggetto che partecipa alla gara, in modo da non soffocare la fantasia degli offerenti e conseguire benefici ulteriori rispetto al miglior prezzo. Tuttavia queste dichiarazioni, come ad esempio l’impegno alla conservazione di un determinato numero di posti di lavoro30, potranno costituire un parametro di selezione dell’aggiudicatario unicamente in via suppletiva, in caso di parità di recovery finanziaria fra più offerte. Infatti la stella polare che deve guidare la scelta del migliore offerente sarà pur sempre rappresentata dal massimo soddisfacimento dei creditori, il quale prescinde dal mantenimento dei livelli occupazionali31.
In tali casi, dovrà comunque essere lo stesso decreto a configurare esplicitamente come migliorativa sia l’offerta che preveda un corrispettivo più elevato, sia quella che, a parità di esborso economico, consenta di beneficiare di ulteriori utilità32. In assenza di tale specifica previsione, l’aggiudicazione del bene non potrà che spettare a chi offre di più.
L’art. 47, L. n. 428/1990 impone che in caso di trasferimento di azienda ne sia data la comunicazione, almeno venticinque giorni prima del perfezionamento dell’atto o del raggiungimento di un’intesa vincolante, alle rappresentanze sindacali unitarie ed ai sindacati di categoria. Successivamente, su richiesta delle rappresentanze o dei sindacati, si procede ad un esame congiunto, al cui esito può essere concluso un accordo che consente la deroga all’artt. 2112 c.c. In particolare recita il comma 4-bis dell’art. 47 che «Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende».
La portata derogatoria dell’art. 2112 c.c. è meno ampia di quanto il tenore letterale della norma lasci intendere, ovvero l’accordo può escludere la solidarietà del cessionario per i debiti che i lavoratori transitati avevano al momento del trasferimento e prevedere modifiche peggiorative delle condizioni di lavoro dei lavoratori transitati, ma non può prevedere l’esclusione del trasferimento al cessionario del rapporto di lavoro dei dipendenti addetti al ramo dell’azienda ceduto. In altri termini l’inciso “anche parziale” va interpretato come riferito alle condizioni del rapporto di lavoro e non anche alla possibilità di limitare la prosecuzione del rapporto di lavoro solo ad alcuni lavoratori33.
Nonostante queste limitazioni, la norma risulta molto utile per “plasmare” i rapporti di lavoro in modo da rendere l’azienda più appetibile per il potenziale offerente. Tuttavia nel caso di procedimenti competitivi di vendita di aziende la possibilità di accordi preventivi che disattivino parzialmente l’art. 2112 c.c. è sostanzialmente preclusa.
Infatti per espressa previsione dell’art. 47 l’obbligo di comunicazione preventiva, così come l’eventuale successivo esame congiunto, concernono sia il cedente che il cessionario, e quest’ultimo non sarà ancora stato individuato nei venticinque giorni che precedono la gara.
Né è ipotizzabile che, per rimediare a ciò, le offerte concorrenti pongano come condizione sospensiva del trasferimento dell’azienda la stipulazione di accordi derogatori dell’art. 2112 c.c. da perfezionarsi in epoca successiva all’aggiudicazione o alla vendita, stante la impossibilità di presentare offerte concorrenti condizionate. Al contrario l’offerta originaria potrà porre condizioni di questo genere, ma esse, per le ragioni già esposte, avranno effetto soltanto in assenza di offerte concorrenti.
Certo, è astrattamente possibile che le procedure di comunicazione preventiva e di esame congiunto siano espletate con l’offerente originario, e ciò conduca alla stipulazione di un accordo trilaterale derogatorio dell’art. 2112 c.c. che le parti dichiarino essere valido anche nei confronti di un terzo aggiudicatario. Ma le probabilità di giungere ad un tale accordo con l’offerente principale saranno molto basse ogni qualvolta RSU e sindacati abbiano la consapevolezza che un diverso terzo aggiudicatario non potrà imporre alcuna condizione restrittiva dei diritti dei lavoratori.
Per questo motivo34 l’offerente dovrà verosimilmente onerarsi dell’intero passivo derivante dai lavoratori dipendenti, salvo che la debitrice abbia stipulato per tempo specifici accordi individuali.
Il regime dell’art. 163-bis vige non soltanto quando l’offerta di acquisto o affitto sia contenuta nel piano concordatario definitivo, come è il caso cui si riferisce il comma 1, ma anche quando essa sia resa durante la fase prenotativa, come è il caso previsto dal comma 5, secondo il quale tale disciplina «si applica, in quanto compatibile, anche agli atti da autorizzare ai sensi dell’art. 161, comma 7.».
Pertanto nulla osta, purché sussistano i requisiti d’urgenza previsti dall’art. 161, comma 7, a che venga avviato il procedimento competitivo anche prima del deposito della domanda definitiva ed indipendentemente dall’esistenza o meno di un piano35. Ciò di regola accadrà quando vi sia un rischio di deterioramento di beni o svilimento di valori; caso, quest’ultimo, di aziende per le quali l’offerente originario, temendo danni reputazionali derivanti dal concordato, desideri accelerarne l’acquisizione.
Nel diverso caso in cui l’offerta venga formulata successivamente al deposito del piano definitivo, la competitività dovrebbe essere non più quella dell’art. 163-bis bensì quella disposta dall’art. 182, comma 536.
Vi è però chi ritiene che in questo ultimo caso il tribunale abbia la libertà di autorizzare la cessione direttamente senza aprire una procedura competitiva, quando ritenga che l’offerta pervenuta corrisponda al miglior interesse dei creditori37. Questa tesi sembra tuttavia contrastare con l’obbligatorietà della competitività imposta dall’art. 182, comma 5, che deve intendersi espressione di una regola generale applicabile, in quanto compatibile, a tutti gli atti dismissivi compiuti nell’ambito del concordato38, e quindi non soltanto a quelli disciplinati dall’art. 163-bis.
Un caso affrontato dalla giurisprudenza in cui invece la disciplina della competitività non può certamente trovare spazio è il conferimento di azienda in società interamente partecipata dalla conferente39. Tale operazione societaria, comunque, non concretizza alcun danno per i creditori, in quanto il patrimonio aziendale conferito resta pur sempre nella sfera giuridica della società controllante in concordato; fermo restando che l’eventuale successiva cessione della partecipazione dovrà essere assoggettata alle regole della competitività.
Viceversa è ragionevole ritenere che la competitività si applichi agli atti, diversi dal conferimento, in cui il corrispettivo non sia rappresentato da denaro (ad esempio permuta e datio in solutum; molto frequente in campo immobiliare è anche il cosiddetto appalto con corrispettivo immobiliare); in tali casi il corrispettivo stesso su cui basare la gara dovrà essere “monetizzato”, cioè determinato d’ufficio tramite stima del valore economico della controprestazione contenuta nell’offerta originaria.
Proprio in forza dell’art. 182, comma 5, a qualunque dismissione concordataria effettuata nell’ambito dell’art. 163-bis si estenderà la disciplina degli artt. da 105 a 108-ter.
Così anche alla vendita effettuata ante omologa, ed anche a quella attuata nel concordato con riserva, si estenderanno sia gli effetti purgativi delle eventuali iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli sui beni venduti sia gli effetti liberatori dalla responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima del trasferimento dell’azienda. Con la precisazione però che, in difformità dell’art. 107, non sarà vincolante l’obbligo di pubblicare la vendita almeno trenta giorni prima, dovendo essere garantita la massima speditezza del procedimento competitivo, né potrà essere attuata la sospensione della vendita da parte del commissario per l’ipotesi della presentazione di offerte migliorative, essendo essa gestita dal tribunale e non delegabile40 (tuttavia è fatto salvo il caso in cui tale potere di sospensione sia previsto nel provvedimento stesso che indice la gara41), né, infine, sarà necessaria l’effettuazione di una stima (cfr. cap. 6).
A rigore di logica, un procedimento competitivo potrà essere avviato anche qualora non consti l’offerta di terzo, e ciò sia durante la fase del concordato con riserva (purché ovviamente vi siano motivi d’urgenza) che in quella successiva post ammissione. Non pare infatti che la disciplina di cui all’art. 163-bis abbia derogato a quella generale di autorizzazione degli atti urgenti di straordinaria amministrazione di cui all’art. 161, comma 7, e degli atti di cui all’art. 167, comma 2, avendo essa unicamente lo scopo di impedire la pratica delle proposte vincolate ai fini della massimizzazione del soddisfacimento dei creditori.
Vi è da interrogarsi se possa essere qualificata come concordato in continuità aziendale una procedura che attui la vendita dell’azienda prima del deposito della domanda definitiva.
Il tenore del primo comma dell’art. 186-bis, il quale recita che «Quando il piano di concordato di cui all’articolo 161, comma 2, lettera e) prevede la prosecuzione dell’attività di impresa […] si applicano le disposizioni del presente articolo.» fa propendere per la tesi negativa, in quanto un concordato può definirsi in continuità soltanto in presenza del piano di cui all’art. 161, comma 2, lett. e), cioè di una domanda definitiva.
La conseguenza logica è che, qualora la vendita dell’azienda venga attuata durante la fase prenotativa, la successiva proposta dovrà assicurare ai creditori il pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari42 e non sarà dovuta l’attestazione del miglior soddisfacimento dei creditori, salvo trattarsi di concordato misto; con la ulteriore precisazione che non vi è accordo in giurisprudenza e dottrina sul criterio per qualificare un concordato misto quale liquidatorio oppure in continuità, ed in particolare se si debba applicare un principio di coesistenza fra le due fattispecie e delle relative norme che le governano oppure di prevalenza – e quale sia in quest’ultimo caso il parametro discriminante, poiché, di fianco a chi ritiene che qualifichi la procedura quella delle due attività (liquidatoria e in continuità) che produce i maggiori flussi di cassa43, consta giurisprudenza secondo la quale un concordato resta in continuità anche se la parte liquidatoria produce la maggior parte delle risorse finanziarie44.
Viceversa, se la vendita dell’azienda viene attuata dopo l’ammissione, ma prima dell’omologazione, la procedura assume, per le ragioni anzidette, i connotati di un concordato in continuità e dunque la proposta non è tenuta ad assicurare un pagamento di almeno il venti per cento dell’ammontare dei crediti chirografari, mentre si renderà necessaria l’attestazione del miglior soddisfacimento dei creditori. Ovviamente in tal caso ai creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca sui beni oggetto di liquidazione non potrà essere riconosciuta la moratoria di cui all’art. 186-bis, comma 2, se non nei termini indicati dalla giurisprudenza della Cassazione45.
La questione meriterebbe un’interpretazione maggiormente orientata a premiare comportamenti virtuosi, in quanto quella testé fornita, seppur coerente con il dato normativo, penalizza proprio il debitore diligente il quale, dopo aver posto senza indugio in vendita la propria azienda per massimizzarne il valore a tutto beneficio dei creditori, si troverà costretto a formulare una proposta concordataria vincolata alla soglia minima di soddisfacimento del 20%. Soccorre nel senso di un’interpretazione non penalizzante per il debitore diligente la considerazione che, al di là del dato testuale, la ratio che ispira la disciplina della continuità è che l’impresa sopravviva, e ciò autorizzerebbe a considerare in continuità anche una cessione di azienda effettuata durante la fase prenotativa.
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 163-bis il procedimento competitivo si applica, in quanto compatibile, anche in caso di affitto di azienda o di uno o più rami d’azienda.
Tuttavia in taluni casi il procedimento competitivo per la selezione dell’affittuario potrebbe avere una durata incompatibile con la finalità di mantenere in vita l’attività d’impresa. Così, ad esempio, nel caso di una fonderia che, a causa della carenza di liquidità e conseguente impossibilità di approvvigionarsi sul mercato dell’energia, fosse costretta a spegnere gli altoforni con gravi danni agli apparati produttivi, deteriorati dal solidificarsi del metallo residuo in fase di raffreddamento, e lunghi tempi per il loro riavvio.
In tal caso la necessità di giungere alla cessione dell’azienda senza il rischio della perdita dei valori intangibili, primo fra tutti l’avviamento, che un suo arresto, anche solo momentaneo, produrrebbe in modo irreversibile, ha indotto il tribunale di Bergamo ad autorizzare in via d’urgenza l’affitto del ramo di azienda e a differire ad un momento successivo l’esperimento del procedimento competitivo per l’individuazione del soggetto affittuario46.
A questo esito il tribunale è pragmaticamente giunto facendo leva sull’inciso “in quanto compatibile” contenuto nell’ultimo comma dell’art. 163-bis47, avendo ravvisato che i tempi del procedimento competitivo erano, appunto, incompatibili con la finalità di salvaguardare l’integrità e il valore dell’azienda.
Peraltro si può dubitare che l’affitto-ponte, essendo di durata limitata, sia oggetto dell’art. 163-bis, in quanto proprio per la sua non definitività non pregiudica alcuna soluzione e non rientra nella casistica del concordato preconfezionato.
Tale soluzione del temporaneo affitto d’azienda non può comunque essere adottata nel caso di concordato preventivo di farmacia privata, stante il divieto di scissione tra titolarità e gestione della farmacia fissato dall’art. 11 della L. n. 475/196848.
La disciplina delle offerte concorrenti non opera alcun rimando all’art. 104-bis; pertanto è opportuno che il richiamo a tale articolo o a sue singole disposizioni sia contenuto nel provvedimento che autorizza l’affitto-ponte o l’apertura del procedimento competitivo per l’individuazione dell’affittuario; in tal modo sarà verosimilmente possibile beneficiare delle tutele ivi contenute, prima fra tutte l’esenzione da responsabilità della procedura per i debiti maturati sino all’eventuale retrocessione dell’azienda.
L’eventuale diritto di prelazione legale o convenzionale vantato da un terzo (non necessariamente partecipante alla gara) sul bene o azienda oggetto di dismissione non resta caducato per effetto dell’apertura della procedura di concordato preventivo, e quindi può essere da questi liberamente esercitato49.
Ciò può dissuadere i soggetti potenzialmente interessati all’acquisto dal partecipare alla gara, poiché l’esistenza di un soggetto prelazionario rende certamente più difficoltosa l’aggiudicazione. Qualora, dunque, si tratti di prelazione convenzionale, sarà raccomandabile che la debitrice si avvalga della facoltà di chiedere lo scioglimento o quantomeno, nella fase prenotativa, la sospensione del relativo contratto, a tutto vantaggio della competitività del procedimento.
Consta al contrario un caso in cui il riconoscimento del diritto di prelazione in pendenza di procedura si è rivelato utile, in quanto ha consentito di acquisire un’offerta originaria molto conveniente ma ad esso condizionata; in tal caso il tribunale competente ha autorizzato la concessione della prelazione ricorrendo all’interpretazione analogica dell’art. 104-bis, quinto comma dettato in tema di affitto di azienda50.
La disciplina delle offerte concorrenti si applica anche ai trasferimenti effettuati in esecuzione di contratti preliminari, riguardando essa ogni “contratto che comunque abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda, del ramo d’azienda o di specifici beni.”.
Non paiono tuttavia rientrare nell’ambito applicativo delle offerte concorrenti i contratti preliminari di cessione di singoli beni ricollegabili alla normale attività di gestione dell’impresa, quantunque sul punto non vi sia accordo unanime in giurisprudenza51. È il caso, ad esempio, dei preliminari di compravendita di appartamenti stipulati da una società immobiliare52; tali contratti conservano la loro efficacia, salvo domanda di sospensione o scioglimento da parte del debitore ex art. 169-bis, e non determinano l’avvio di procedimenti competitivi.
Viceversa qualora si tratti di contratti preliminari relativi a beni, anche di modesto valore53, la cui vendita non costituisca oggetto dell’attività di impresa (e tale è considerata la cessione in blocco di merci ricoverate in magazzino54), allora occorrerà avviare il procedimento competitivo, e l’aggiudicazione o la vendita dei beni a soggetti diversi dal promissario acquirente determinerà un’ipotesi di scioglimento coattivo dei contratti preliminari nonché, in caso di cessione di azienda, di scioglimento coattivo dei preesistenti contratti d’affitto d’azienda ed estimatorio55.
Vi è però chi ritiene, ma si tratta di una posizione minoritaria, che tale scioglimento coattivo non si produca, mancando, nell’art. 163-bis, un riferimento testuale che lo legittimi56, e che dunque sia necessario invocare lo scioglimento del contratto per presupposizione (consistente nella aspettativa poi frustrata di aggiudicazione) oppure, più pragmaticamente, chiedere al tribunale lo scioglimento del contratto preliminare ex art. 169-bis o prevedere nel contratto preliminare una clausola di recesso per il caso di vendita o aggiudicazione a terzo del bene o dell’azienda.
Si noti poi, quanto allo scioglimento coattivo dell’affitto di azienda, che nessuna norma autorizza il riconoscimento all’affittuario di un indennizzo, con grave penalizzazione del contraente rispetto all’ipotesi del fallimento o dello scioglimento autorizzato del contratto pendente. In tal caso un’interpretazione analogica degli artt. 80 e 169-bis consentirebbe un più equo contemperamento degli interessi.
Ma che ne è di quella categoria di preliminari che non si possono sciogliere, indicata all’art. 72, comma 8 e richiamata dall’art. 169-bis, comma 4? Si tratta dei preliminari trascritti ex art. 2645-bis c.c. aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo destinati a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo grado, ovvero immobili ad uso non abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente.
In tal caso, la tesi da preferire è che l’art. 163-bis prevalga sul preliminare, determinandone ugualmente lo scioglimento coattivo, ma che il promissario acquirente abbia diritto alla restituzione delle somme anticipate in prededuzione, poiché lo scioglimento non si determinerebbe per effetto dell’art. 169-bis, il quale riconosce al contraente un indennizzo da soddisfare come credito anteriore al concordato57, bensì come credito sorto in funzione ed occasione della procedura.
Ritenere al contrario che quel tipo di contratti preliminari immobiliari sopravviva consentirebbe facili manovre elusive, consistenti nella loro stipulazione e trascrizione nell’imminenza della domanda di concordato, e violerebbe quel principio di competitività che pare essere diventato la regola fondamentale di tutte le attività di liquidazione del concordato preventivo.
È fatto tuttavia salvo il caso che sia stata trascritta, prima della domanda di concordato, una domanda giudiziale ex art. 2932 c.c., volta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di stipulare il contratto definitivo58, nel qual caso gli effetti del contratto preliminare saranno salvi e non si darà luogo alla vendita competitiva.
Tra il momento in cui l’impresa incassa il ricavato della vendita competitiva e quello, successivo all’omologazione, della sua distribuzione ai creditori può trascorrere diverso tempo; ciò espone i creditori con privilegi sui beni oramai venduti e purgati dalle formalità pregiudizievoli al rischio di veder deluse le proprie aspettative di recupero.
Infatti una volta eseguita la vendita, riscosso interamente il prezzo e cancellati i vincoli gravanti sui beni venduti, il ricavato potrebbe essere disperso per effetto di azioni esecutive intraprese in relazione a crediti sorti dopo la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese (ad essi infatti non si applica l’art. 168) oppure il medesimo ricavato potrebbe essere sottratto al regime di spossessamento (attenuato) a causa della caducazione della procedura per rinuncia, revoca o mancata omologazione del concordato.
La tutela di tali creditori privilegiati non può certamente essere conseguita posticipando la cancellazione delle iscrizioni e trascrizioni fino all’avvenuta distribuzione ad essi del ricavato: il rischio di inadempimento non verrebbe soppresso bensì semplicemente trasferito all’acquirente del bene, minando oltretutto la certezza dei traffici giuridici che vedono l’intervento dell’autorità giudiziaria a garanzia della legalità.
Anche la distribuzione del ricavato al creditore privilegiato immediatamente dopo la vendita, quantunque prima dell’omologazione, non pare una soluzione convincente; innanzitutto è lo stesso tenore dell’art. 168 che porta ad escludere la possibilità di effettuare il pagamento di crediti anteriori, per la nota ragione che non può essere consentito l’adempimento spontaneo di un’obbligazione pecuniaria quando il suo pagamento è precluso in via di esecuzione forzata; inoltre il pagamento di crediti anteriori è tollerato unicamente nella ben diversa fattispecie di cui all’art. 182-quinques, quinto comma.
Per legittimare la distribuzione anticipata del ricavato si potrebbero semmai invocare le argomentazioni contenute nella sentenza Cass. Civ., sez. I, 19 febbraio 2016, n. 3324, la quale ha ritenuto che i pagamenti di crediti anteriori non autorizzati comportino l’automatica revoca dell’ammissione alla procedura solo se siano diretti a frodare le ragioni dei creditori. In quel caso la Corte aveva ritenuto legittimo il pagamento di crediti anteriori per utenze, manutenzioni, spese legali etc. effettuato al fine di assicurarsi prestazioni dirette a conservare il valore del patrimonio, in modo da ricavarne un maggior prezzo in sede di liquidazione.
A ben vedere, anche il pagamento anticipato dei creditori privilegiati non costituisce atto di frode ed anzi consente di conservare l’integrità del patrimonio liquido ad essi destinato; sicché esso sarebbe legittimo, alla luce della citata giurisprudenza della Cassazione. Tuttavia, in mancanza di solide basi giuridiche che la legittimino, questa pratica comporta il rischio della revoca della procedura ex art. 173.
Una ulteriore soluzione proposta recentemente è di ritenere che la prelazione si trasferisca dal bene originario al bene sostitutivo59: è la cosiddetta surrogazione reale, da distinguersi da quella personale perché a mutare non è il soggetto titolare del rapporto bensì l’oggetto del rapporto stesso60.
La surrogazione reale è specificamente riconosciuta dal legislatore con una serie di disposizioni (artt. 2742, 2795, primo e secondo comma., 2815 e 2816, 2825, secondo comma, c.c.) legate da un aspetto comune, cioè dall’avere riguardo, ai fini della tutela del creditore privilegiato, non al bene in sé quanto al suo valore economico. E per la Suprema Corte la surrogazione reale è ammissibile anche in via pattizia in ogni caso in cui consenta la tutela della situazione giuridica preesistente61.
Sul punto alcune questioni sono meritevoli di un approfondimento.
In primo luogo in materia di privilegi vige il principio di tipicità62, e questo ostacola l’applicazione analogica della surrogazione reale al di fuori delle ipotesi previste dalla legge, salvo che essa (surrogazione) sia stata espressamente pattuita. È dunque raccomandabile che debitrice e creditore privilegiato stipulino un accordo extra-concordatario e/o che la proposta concordataria contenga un’apposita previsione in tal senso.
In secondo luogo vi è un problema di opponibilità ai terzi del vincolo esistente sul ricavato della vendita; l’ordinamento conosce diverse forme di garanzie non possessorie, però esse prevedono svariate formalità, alternative allo spossessamento, per l’opponibilità ai terzi63; nel caso qui trattato, invece, non esiste una procedura formale che consenta di dare pubblicità all’esistenza del vincolo.
Alla luce delle osservazioni esposte potrebbe essere opportuno costituire in pegno l’equivalente del denaro ricavato dalla vendita a favore del creditore privilegiato (previa autorizzazione giudiziale)64.
Si noti ulteriormente che qualora si scelga la forma tecnica del pegno irregolare di denaro65, la cui consegna non ha carattere solutorio66 e dunque non costituisce un pagamento vietato per legge, il creditore privilegiato non sarà neppure tenuto ad insinuarsi nell’eventuale successivo fallimento67.
Per contro il semplice deposito del prezzo riscosso su un rapporto bancario vincolato all’ordine del commissario giudiziale non mi pare possa costituire un valido argine contro eventuali azioni esecutive per crediti sorti dopo la pubblicazione del ricorso o contro l’eventuale ritorno in bonis della debitrice, salvo, limitatamente a quest’ultimo caso, agevolare il creditore privilegiato concedendogli un margine di tempo in più per ottenere, nelle more dello svincolo del rapporto bancario, un provvedimento di sequestro delle somme di denaro ivi contenute.
Un’ultima notazione, infine, per l’ipotesi che la caducazione della procedura intervenga dopo l’aggiudicazione ma prima del trasferimento della proprietà dell’azienda o del bene: occorre interrogarsi se in tal caso la procedura competitiva si interrompa oppure debba essere portata a termine.
Questa seconda alternativa consente sia di salvaguardare l’affidamento del terzo pretermesso che di risparmiare alla debitrice eventuali iniziative risarcitorie; ad essa si può giungere applicando analogicamente l’art. 187-bis disp. att. c.p.c., secondo il quale in caso di estinzione del processo esecutivo avvenuta dopo l’aggiudicazione restano fermi nei confronti dei terzi aggiudicatari gli effetti di tale atto.
Abstract: The introduction of article 163-bis in Italian Bankruptcy Code allows companies to sell businesses and assets through competitive procedures even before confirmation; meanwhile, with the modification of article 182, businesses and assets sold are released from secured claims and the transfer of business debts to the buyer is prevented. The author, one year after the last reform (decree 132/2015), analyzes some issues emerged in practice about the new regulation, which allows the sale of businesses and assets in a faster way and at the best price possible, in order to assure the best interest of creditors.
Note:
[1] Secondo A. La Malfa, Le offerte concorrenti, p. 7, in osservatorio-oci.org, l’uso del termine “specifici” dovrebbe far ritenere che siano esenti dal procedimento le offerte che riguardino beni in blocco; non è così tuttavia per il Trib. Palermo, 4 maggio 2016, secondo il quale deve essere assoggettata al procedimento competitivo anche la vendita in blocco di merci in magazzino. Ritengono che la norma si applichi non solo al trasferimento di aziende e beni ma anche al trasferimento di contratti, ed in particolare ai contratti di appalto con la pubblica amministrazione ex art. 106 del nuovo codice degli appalti (D.Lgs. n. 50/2016), A. Pezzano-M. Ratti, Nuovo codice degli appalti e procedure concorsuali: prime riflessioni, in Fallimento, 7/2016.
[2] Così Trib. Mantova, 11 agosto 2016.
[3] L’utilizzo dei distinti termini “vendita” e “aggiudicazione”, cui fa riferimento l’art. 163-bis, va inteso come segue: il termine “aggiudicazione” si riferisce all’individuazione dell’acquirente finale quando venga fatta la gara competitiva tra più concorrenti, mentre il termine “vendita” si riferisce al caso in cui ci sia un unico offerente, sia esso l’offerente che abbia fatto la sua offerta prima del deposito del ricorso, o sia invece l’unico offerente che rimanga pur dopo l’apertura della procedura competitiva; in queste ultime ipotesi, infatti, non vi è luogo ad aggiudicazione in senso proprio, ma a semplice accettazione dell’unica offerta. Così F. Lamanna, Speciale Decreto “Contendibilità e soluzioni finanziarie” n. 83/2015: concordato preventivo – “Proposte/piani” ed “offerte” concorrenti, in ilfallimentarista.it.
[4] Tanto si desume da Trib. Modena, 19 aprile 2016.
[5] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016 auspica che l’aumento sia esiguo per limitare quanto più possibile il potere del tribunale di incidere sull’autonomia negoziale delle parti.
[6] Cass. sez. un., 23 gennaio 2013, n. 1521.
[7] Così, tra gli altri, G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in fallimentiesocietà.it.
[8] Trib. Ancona, 5 luglio 2017; Trib. Forlì, 3 febbraio 2016.
[9] Trib. Modena, 29 luglio 2016.
[10] Così il Trib. di Bologna, inedito.
[11] Ma si registra la opposta posizione del Trib. Alessandria, 22 marzo 2016, per il quale l’offerta originaria è inammissibile se non accompagnata dalla prestazione di una garanzia.
[12] Trib. Pisa, 26 novembre 2015. In realtà nel caso esaminato non è chiaro se la caparra sia stata data prima o dopo l’accesso alla procedura concorsuale; si potrebbe astrattamente dubitare, nel primo caso, che il credito da restituzione sia effettivamente prededucibile, ma a fugare ogni dubbio è l’inciso del comma 3 dell’art. 163-bis, in forza del quale, in caso di aggiudicazione a terzi, l’offerente originario «è liberato dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore», oltre ad essere ristorato delle spese sostenute nei limiti del 3% della propria offerta.
[13] Trib. Alessandria, 12 novembre 2015.
[14] Trib. Ravenna, 27 novembre 2015.
[15] Tuttavia ritiene che debba essere incondizionata anche l’offerta originaria Trib. Alessandria, 22 marzo 2016.
[16] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016.
[17] La revisione della proposta, essendo forzosa, non deve soggiace al termine temporale dei quindici giorni che precedono l’adunanza dei creditori di cui all’art. 172 legge fallim.
In ogni caso, onde evitare che i creditori si esprimano su una domanda di concordato obsoleta, è opportuno che il tribunale fissi (o proroghi) la data della loro adunanza tenendo conto delle specificità degli assets oggetto di procedimento competitivo; così, nel caso di azienda posta in vendita unitamente alle giacenze di magazzino, dovrà considerare che il prezzo complessivo, sul quale basare la revisione della proposta, sarà verosimilmente noto non al momento dell’aggiudicazione, bensì in quello successivo nel quale le parti avranno esattamente determinato il valore delle rimanenze sulla base di un apposito inventario redatto in contraddittorio tra loro.
[18] Ritenuta legittima, purché autorizzata, dal Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Pistoia e Prato, massima 36/2013. Così anche R. Brogi, Il concordato preventivo di gruppo e la fusione, in osservatorio-oci.org.
[19] Trib. Modena, 22 luglio 2016, inedito. Interessante notare come il Tribunale, nella procedura esaminata, abbia ritenuto che le masse attive e passive, le votazioni ed il calcolo delle maggioranze non debbano essere tenute distinte tra le società partecipanti alla fusione, in difformità dalle indicazioni fornite da Cass. civ., sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559 in un similare caso di concordato di gruppo proposto dalla conferitaria di più società in crisi. Tuttavia va notato che in questo ultimo caso le società conferenti continuano ad esistere al momento dell’espressione del voto, mentre nel caso della fusione precedentemente esposto al momento del voto esiste una sola società. Per una disamina della sentenza si veda, del compianto S. Poli, Ammissibilità e tecniche di proposizione del “concordato di gruppo” dopo l’intervento della S.C., in Fallimento, 2/2016.
[20] S. Ambrosini, Il nuovo diritto della crisi d’impresa: l. 132/15 e prossima riforma organica, Bologna, 2016, p. 111.
[21] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016, nonché la circolare operativa n. 2/2016 del Tribunale di Bergamo, in ilfallimentarista.it.
[22] Per converso, in caso di cessione o affitto d’azienda da parte di parte di società in bonis, parte della giurisprudenza ritiene che i debiti relativi ai contratti pendenti si trasferiscano all’acquirente; per una rassegna delle posizioni si veda P. Gobio Casale, Debiti e contratti nel trasferimento d’azienda, in Giur. comm., fasc. 5, 2015, p. 840.
[23] S. Bonfatti, I concordati preventivi di risanamento, in ilcaso.it.
[24] Ma pare assumere un’interpretazione antiletterale della norma Trib. Forlì, 3 febbraio 2016, il quale demanda la determinazione del prezzo di base della gara al Commissario Giudiziale.
[25] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016.
[26] Liquidazione atomistica di natura fallimentare, non concordataria, secondo Trib. Firenze, 2 febbraio 2012 e Trib. Rovigo, 27 novembre 2013.
[27] Così A. La Malfa, op. cit., p. 10.
[28]Trib. Alessandria, 22 marzo 2016.
[29] In questo senso per il caso della caparra sempre A. La Malfa, op. cit., p. 10.
[30] Spesso questo impegno si risolve in un semplice esercizio di demagogia, poiché il superamento del parametro difficilmente è sanzionabile una volta ceduta l’azienda.
[31] Tale salvaguardia è posta come obiettivo esplicito nelle cessioni di azienda effettuate nell’ambito dell’amministrazione straordinaria (art. 63, comma 3, D.Lgs. n. 270/1999), ma non di quelle effettuate nell’ambito del concordato preventivo (diversamente da quanto previsto per l’affitto d’azienda, che è comunque una operazione di natura temporanea). Scopo della legge fallimentare è, in ultimo, assicurare il massimo beneficio ai creditori.
[32] Come è il caso del Trib. Ancona, 5 luglio 2017.
[33] Così Trib. Roma, 15 gennaio 2016; Trib. Busto Arsizio, 17 dicembre 2014, Trib. Padova, 27 marzo 2014.
[34] Oltre che per la scarsa collaborazione che l’imprenditore potrebbe prestare a fronte di un’offerta concorrente non gradita; così L. Varotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge fallimentare.
[35] Trib. Rovigo, 17 novembre 2015, Trib. Palermo, 6 maggio 2016, Trib. Bolzano, 17 maggio 2016.
[36] Così A. La Malfa, op. cit., p. 5.
[37] Così G. Bozza, Le proposte e le offerte concorrenti, in fallimentiesocietà.it, pag. 85; ciò avverrà «ove il valore del bene non lo giustifichi, o l’offerta sia chiaramente la migliore reperibile per indagini di mercato già espletate e dimostrate o incomba l’urgenza di non perdere un’occasione essendo l’offerta a termine, ecc.».
[38] Trib. Bolzano, 17 maggio 2016.
[39] Trib. Torre Annunziata, 29 luglio 2016; ritengo che alla stessa conclusione debba giungersi nel caso di conferimento di singoli beni.
[40] Entrambi i casi sono affrontati da Trib. Bolzano, 17 maggio 2016.
[41] Così in un caso trattato da Trib. Treviso, 22 giugno 2016.
[42] Ove per “assicurare” deve intendersi una prospettazione a metà strada fra il concetto di garanzia e quello della ragionevole previsione; così Trib. Firenze, 8 gennaio 2016.
[43] Trib. Vicenza, 1° luglio 2016; Trib. Monza, 26 luglio 2016.
[44] Trib. Siracusa, 23 dicembre 2015, Tirb. Massa, 29 settembre 2016; condivise dal Tribunale di Modena in un provvedimento inedito.
[45] Da ultimo Cass. civ., 2 settembre 2015, n. 17461.
[46] Trib. Bergamo, 23 dicembre 2015.
[47] Si osservi che l’inciso “in quanto compatibile” è riferito unicamente alle due ipotesi previste nel medesimo quinto comma in cui esso compare, cioè agli atti urgenti da autorizzare nel concordato in bianco ed all’affitto di azienda. Viceversa le altre due ipotesi previste nel primo comma, cioè l’offerta del terzo e il contratto che abbia la finalità del trasferimento non immediato dell’azienda o di singoli beni, non godono della medesima riserva di compatibilità, e quindi l’apertura della procedura competitiva appare inderogabile. Constano tuttavia casi in cui la giurisprudenza ha derogato alla competitività sulla base di diversi presupposti: si vedano i casi del conferimento di azienda nel cap. 10 e del trasferimento di appartamenti in adempimento di contratti preliminari stipulati da una società immobiliare nel cap. 13.
[48] T.A.R. Venezia, sez. III, 27 dicembre 2006, n. 4263.
[49] Cass., sez. un. civili, 27 luglio 2004, n. 14083.
[50] Trib. Udine, inedito.
[51] A favore Trib. Livorno, 11 maggio 2016. Postula invece l’inderogabilità senza eccezioni della norma Trib. Monza, 17 maggio 2016, per il quale la disciplina delle offerte concorrenti ex art. 163-bis legge fallim. si applica a qualsiasi trasferimento di beni in ambito concordatario.
[52] Il caso è prospettato nella circolare operativa n. 2/2016 del Tribunale di Bergamo, in ilfallimentarista.it.
[53] Nel qual caso sarà opportuno snellire la procedura competitiva o liquidare i beni in blocco, per evitare di incorrere in costi di vendita più elevati dei proventi conseguiti.
[54] Trib. Palermo, 4 maggio 2016.
[55] Trib. Udine, 15 ottobre 2015.
[56] Irrilevante sarebbe, secondo questa opinione, la circostanza che il terzo comma dell’art. 163-bis preveda la liberazione dell’offerente originario dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore.
[57] Si tratterebbe comunque nella maggior parte dei casi di un credito privilegiato ex art. 2775-bis c.c.
[58] Cass., sez. un. civili, 16 settembre 2015, n. 18131.
[59] Lo sostiene L. Guglielmucci, Liquidazione dell’attivo fallimentare che preveda il conferimento dell’azienda in una new co e la successiva vendita dell’intero pacchetto azionario, Contratto e impresa, 3/2008, p. 551
[60] Per approfondimenti sulla surrogazione reale si veda C. Tomassetti, La surrogazione reale, Contratto e impresa, 10/2006, p. 817.
[61] Pronuncia resa in materia di pegno rotativo da Cass. Civ. sez. I, 28 maggio 1998, n. 5264.
[62] Cass.civ., 29 gennaio 2009, n. 5297.
[63] Mi riferisco alla iscrizione nell’apposito registro informatizzato nel caso del pegno non possessorio (L. 119/2016), alla trascrizione nel registro di cui all’art. 1524 del privilegio a garanzia del finanziamento alle imprese di cui all’art. 46 TUB, alla possibilità di apporre un contrassegno indelebile sul salume e di effettuare l’annotazione del vincolo su appositi registri vidimati annualmente nel caso del pegno di prosciutti (L. 401/1985) etc..
[64] È ragionevole ritenere che la costituzione del ricavato in pegno non comporti la conversione della natura del privilegio originario in pignoratizio e dunque la modificazione del suo rango. Ciò in quanto si ritiene che nella surrogazione reale, pur cambiando l’oggetto del rapporto giuridico, non muta la sua natura (L. Guglielmucci, citato).
[65] Il pegno irregolare è regolato dall’art. 1851 c.c. per l’anticipazione bancaria ma è ritenuto di generale utilizzabilità, e quindi anche al di fuori dei rapporti bancari (Cass. Civ., sez. III, 16 giugno 2005, n. 12964); si distingue dal pegno vero è proprio perché la cosa data in pegno è una somma di denaro o altro bene fungibile della quale è stata conferita al creditore la facoltà di disporre fino al momento dell’adempimento, nel qual caso essa dovrà essere restituita (nel caso specifico, tramite compensazione al momento del “riparto”).
[66] Cass. Civ., sez. I, 22 febbraio 2008, n. 3794.
[67] Cass. Civ., sez. I, 21 novembre 2014, n. 24865.