di Pier Giorgio Cecchini
Lo scritto si propone di individuare il discrimine tra le situazioni in cui, nel concordato preventivo, il conflitto di interessi dei creditori determina l’esclusione dal voto e quelle che possono essere risolte con il classamento autonomo. Il testo riprende e amplia la relazione tenuta nell’ambito del convegno sulla crisi di impresa Adesso gli strumenti ci sono. ma la musica? Udine, 9 e 10 giugno 2023.
Sommario:
3 . I conflitti distributivi tipici
4 . La collettività dei creditori
5 . Il conflitto da proposta al ribasso: le proposte concorrenti…
7 . Altri conflitti da proposte al ribasso
8 . Il conflitto da interesse esterno
Osservava lo scrittore americano Gore Vidal nel suo libro di memorie [1] che “l’idea di conflitto di interessi non esiste nella legge o vita italiana”.
L’affermazione suonerebbe gratuita se fatta oggi, dopo che in questi ultimi anni il legislatore ha dedicato tanta attenzione al tema, ad esempio con il recepimento delle direttive Mifid che impongono agli intermediari di “servire al meglio l’interesse dei cliente” e con l’introduzione o il perfezionamento della disciplina dei conflitti di interessi nelle società di capitali, nelle banche e negli intermediari finanziari [2] .
Il contrasto al conflitto di interessi si è esteso anche al campo regolamentare e in giurisprudenza, sì da far sostenere che “il contraente egoista, se non è proprio morto, è un personaggio che non si sente molto bene” [3] .
Il diritto concorsuale si è adeguato ai tempi, prevedendo con la riforma entrata in vigore nel 2022 che nel concordato preventivo siano esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi, ai sensi dell’art. 109, comma 6, secondo periodo. La norma è richiamata dall’art. 64 bis e quindi si applica al piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione. Una disposizione speculare è infine dettata dall’art. 243, comma 5, ultimo periodo per il concordato nella liquidazione giudiziale, sì da rendere sostanzialmente mutuabili ai due strumenti, salvo piccoli adattamenti, le osservazioni che verranno svolte per il concordato.
La formula utilizzata però è tanto laconica da suonare misteriosa [4] . In realtà, i comportamenti egoistici sono un caposaldo irrinunciabile di un sistema capitalistico; il conflitto di interessi è la fisiologia, non la patologia, del moderno mondo occidentale [5] .
Per fortuna, dal complesso delle disposizioni del Codice della Crisi e dell’Insolvenza (“Codice”) desumiamo che all’esclusione dal voto deve essere riservato uno spazio estremamente rarefatto, molto più di quanto la prima lettura della norma lasci pensare, fino a circoscriverne l’applicazione ai casi in cui l’interesse del creditore coincide con quello del debitore al minimo esborso possibile, mentre i conflitti derivanti da altri interessi esterni e non attinenti alla distribuzione del valore possono essere composti tramite il classamento autonomo.
Il conflitto di interessi, però, per essere governato, deve prima essere scoperto, ed è un compito tutt’altro che facile: tanti i creditori di cui nulla si sa (vi possono anche essere cessionari prestanome), con conflitti potenziali che trascendono le possibilità di controllo del più occhiuto dei commissari giudiziali.
Per agevolare la lettura di questo saggio, gli articoli di legge privi di altra specificazione si intenderanno riferiti al Codice; si farà frequente uso di locuzioni alternative a “esclusione dal voto e dal computo delle maggioranze”, come ad esempio divieto di voto, neutralizzazione, sterilizzazione.
Il primo periodo dell’art. 109, comma 6 esclude dal voto e dal computo delle maggioranze taluni congiunti (coniuge, convivente etc.) e le società del gruppo del debitore, nonché i loro cessionari ed aggiudicatari da meno di un anno. È questa una presunzione assoluta di conflitto di interessi.
Il voto è dunque impedito ai creditori che siano congiunti del debitore, e quindi congiunti del solo imprenditore individuale, poiché non si può essere materialmente congiunti di una società ed è irrilevante esserlo dei suoi amministratori, che debitori non sono, se non in via sussidiaria nelle società di persone.
Il voto è altresì impedito ai creditori che siano società del gruppo a cui appartiene il debitore, e siccome deve trattarsi appunto di società, il voto non è ovviamente precluso ai creditori persone fisiche che siano soci della debitrice o soci di altre società del gruppo a cui appartiene il debitore, fatte salve le considerazioni sulla postergazione (cap. 5).
Il secondo periodo dell’art. 109, comma 6, invece, dispone che sono genericamente esclusi dal voto, favorevole o contrario che sia, e dal computo delle maggioranze i creditori in conflitto di interessi. Qui la presunzione non è più assoluta ed è richiesto un intervento giudiziario.
Le previsioni del primo e secondo periodo sono coerenti con l’art. 9 della Direttiva 2019/1023 secondo il quale gli Stati membri possono escludere dal diritto di voto qualsiasi parte correlata con il debitore o con la sua impresa, ma solo quando essa presenti un conflitto di interessi a norma del diritto nazionale.
Se ne desume a contrario che in Italia una parte correlata può in linea di principio votare, purché non sia un congiunto o una società del gruppo: il legislatore italiano sa bene chi è parte correlata secondo lo IAS 24, avendo definito il caso nell’art. 2, lett. l), e se avesse voluto impedirgli di votare tour court lo avrebbe scritto esplicitamente.
Per tenore letterale e collocazione, il comma 6 dell’art. 109 è applicabile a tutti i concordati preventivi, appartengano essi all’archetipo della continuità o della liquidazione, anche se la presente analisi si occuperà prevalentemente del concordato in continuità, essendo quello liquidatorio, oramai, in via di estinzione.
3 . I conflitti distributivi tipici
Ma il conflitto che impedisce il voto è tra quali soggetti e su cosa verte? Non è facile comprenderlo, perché il concordato è inevitabilmente una selva di conflitti.
Esiste innanzitutto un conflitto distributivo tra il debitore da una parte e creditori dall’altra, e ciò è ancora più vero nel concordato in continuità che, derogando all’art. 2740 c.c., determina un gioco a somma zero in cui ciò che guadagna l’uno lo perdono gli altri e viceversa.
Ma conflitti distributivi esistono anche tra i creditori, poiché ognuno di essi ha interesse ad accaparrarsi la maggior parte delle risorse, e tanto ha rilevato anche Cass. 3274/2011, per la quale nel concordato preventivo “un conflitto tra i creditori è immanente nel sistema”, nonché il Consiglio di Stato nel parere 244/2020, per il quale “nella normalità dei casi, ogni creditore è, per sua stessa natura, in conflitto di interessi con qualunque altro creditore ai fini del soddisfacimento del proprio credito sul patrimonio del debitore “.
Il conflitto fra debitore e creditori sarebbe irrilevante se il primo non votasse, ma vi sono casi in cui egli vota e quindi è in grado di influenzare le maggioranze a proprio favore e a discapito degli altri creditori; questo accade principalmente: (i) quando il creditore vota a favore di una proposta concorrente acquisitiva (cioè tramite aumento di capitale o per assunzione) da lui stesso formulata, aspirando così a diventare il “debitore” che fornirà le risorse per adempierla, e (ii) quando il socio vota ai sensi dell’art. 120 ter a favore di una proposta in continuità diretta che gli riserva parte del valore risultante dalla ristrutturazione [6] .
In entrambi i casi, nonché in altri residuali, se il creditore o il socio detiene diritti di voto rilevanti, vi è l’elevata probabilità che faccia approvare una proposta di second best – no, indecente.
Anche il conflitto tra creditori è irrilevante quando questi si limitino a far valere i loro interessi tipici, cioè attinenti al concorso e quindi al trattamento ad essi riservato, poiché è un conflitto connaturato al sistema ed è già risolto dal codice tramite le regole di distribuzione del valore di cui agli artt. 84 comma 6, 88 comma 1, 112 comma 2 lett. b) e 120 quater comma 1.
Quando per converso gli interessi di un creditore siano “esterni” al concorso [7] , possono distorcere la formazione delle maggioranze.
Abbiamo quindi compreso che la locuzione “conflitto di interessi” che inibisce il voto, contenuta nell’art. 109, non può essere presa alla lettera e deve assoggettata ad interpretazione selettiva, poiché altrimenti ai creditori sarebbe sempre negato il diritto di esprimersi nel concordato.
Abbiamo inoltre individuato due aree critiche: (i) il conflitto del creditore con gli altri creditori a causa dell’assenza di conflitto col debitore e (ii) il conflitto del creditore con gli altri creditori in conseguenza di un interesse esterno al concorso. A colpo d’occhio, è la prima ipotesi la più disfunzionale, la più subdola, la più grave, perché si presta ad intenti frodatori, e quindi merita rimedi più drastici.
4 . La collettività dei creditori
Il percorso per arrivare ad attribuire rilevanza giuridica al conflitto di interessi fra creditori, cioè fra l’interesse del singolo creditore e quello comune dei creditori, che pare scontato identificare nel miglior soddisfacimento anche se non vi è unanimità, è stato tortuoso.
Prima però una breve digressione: il “soddisfacimento” può consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa (art. 84, comma 3); la legalizzazione di questa forma di soddisfacimento a favore di classi altrimenti “a trattamento zero” ha reso superata la tesi di chi in passato intravedeva un conflitto di interessi in capo al creditore che votava a favore del concordato in cambio della promessa di futuri rapporti commerciali dopo la chiusura della procedura [8] .
Tornando al tema, la Cassazione si era espressa inizialmente con sentenza 3274/2011 negando la rilevanza giuridica di un interesse comune dei creditori e così anche del conflitto di interessi, seppure immanente o anzi proprio perché tale, in quanto “il fallimento non è un soggetto giuridico autonomo di cui i creditori siano in qualche modo partecipi e il complesso dei creditori concorrenti non è avvinto da alcun patto che comporti la necessità di valutare un interesse comune trascendente quello dei singoli”, sicché il creditore è legittimamente “homo homini lupus”. In questa sentenza la Cassazione ammetteva al voto alcuni creditori interessati a esprimersi a favore di un concordato fallimentare formulato in modo tale da consentire loro di sottrarsi al rischio di azioni revocatorie.
Le Sezioni Unite della Cassazione invertivano la rotta con sentenza n. 17186/2018 ritenendo sufficiente, per l’esistenza del conflitto, il contrasto di un interesse individuale con l’interesse comune all’intera collettività, ed escludendo che fosse invece necessario che quest’ultima costituisca un distinto soggetto o centro d’imputazione di situazioni giuridiche. Da lì, attraverso l’applicazione estensiva dei divieti di voto degli artt. 127 e 177 L. fall. alle parti correlate, le Sezioni Unite giungevano ad escludere dal voto il creditore che aveva presentato una proposta di concordato fallimentare nonché i creditori appartenenti allo stesso gruppo, in quanto tutti interessati “a concludere l’accordo con il minor esborso possibile, e gli altri (creditori), all’opposto, a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti” [9] .
Veniva così messa la parola fine alla tesi della non imputabilità di situazioni giuridiche alla collettività dei creditori. Le due antitetiche sentenze traevano spunto da proposte di concordato fallimentare, oggi rinominato concordato nella liquidazione giudiziale, ma esprimevano principi estendibili alle proposte concorrenti nel concordato preventivo.
5 . Il conflitto da proposta al ribasso: le proposte concorrenti…
Le Sezioni Unite paventavano l’esistenza in astratto di “innumerevoli” conflitti, da risolvere caso per caso per via legislativa (“spetta alla legge stabilire quali ipotesi siano rilevanti e quali no, indicando il rimedio più opportuno per neutralizzare il conflitto stesso”), ma in realtà si occupavano del solo peculiare caso di (assenza di) conflitto in cui si trova il creditore proponente e lo risolvevano per via interpretativa.
In effetti il caso si presta ad abusi; è quello, già anticipato, del creditore, o della sua parte correlata, che formuli una proposta concorrente per aumento di capitale o per assunzione, e che quindi aspiri ad immedesimarsi anche nel ruolo del debitore che dovrà adempiere la proposta concorrente. Quel soggetto, votando, tenta di stipulare un contratto con sé stesso.
Potremmo definire questa ipotesi un conflitto di interessi da “proposta al ribasso”; di essa soltanto si sono occupate le Sezioni Unite e quindi dalla sentenza non si può trarre il principio secondo cui a giustificare il divieto di voto varrebbe ogni interesse esterno al concorso, come invece si è ritenuto in dottrina.
A ben vedere, ciò che inquina il voto del creditore proponente non è il conflitto bensì la comunanza con l’interesse del debitore al minimo esborso; riassunto efficacemente, “il creditore non vota non perché – essendo l’autore della proposta – è in conflitto di interessi, ma perché non lo è, quando dovrebbe esserlo” [10] . Sottinteso: in conflitto col debitore.
Con gli altri creditori, invece, quel creditore presenta un conflitto non più o non solo per l’interesse a soddisfare al massimo il proprio credito sull’attivo esistente, bensì per l’interesse a ridurre quell’attivo. In altri termini, il creditore non vuole ottenere una fetta più grande della stessa torta, bensì ridurre le dimensioni della torta, trovando soddisfazione ”lato debitore”. Coglie la questione la Corte d’appello di Milano, 3 febbraio 2022, secondo la quale per aversi conflitto di interessi occorre che il creditore condivida l’interesse perseguito dalla debitrice in conflitto con gli interessi degli altri debitori.
Sulla severità del rimedio – divieto di voto o soltanto classamento autonomo? – in un passaggio la sentenza del 2018 lasciava chiaramente intendere che la soluzione del divieto del voto dovesse essere adottata unicamente come extrema ratio (“non resta che applicare la regola del divieto di voto per il creditore proponente”), a causa dell’assenza di una disciplina specifica che legittimasse il classamento ad hoc. Oggi che il Codice opta per tale ultima soluzione in ogni ipotesi in cui una proposta di regolazione della crisi sia avanzata da un soggetto diverso dal debitore [11] quella sentenza perde attualità.
Il classamento, al pari dell’esclusione dal voto, veniva individuato come strumento in grado di ripristinare una maggioranza imparziale, in coerenza col principio di autonomia privata nel suo risvolto negativo di intangibilità della sfera giuridica altrui di cui all’art. 1372 c.c. [12] . Ma non è così: divieto di voto e classamento hanno effetti diversi, più drastici il primo, più blandi il secondo [13] .
Nel corso dei lavori preparatori del Codice il Consiglio di Stato aveva segnalato il paradosso di un sistema nel quale la situazione di conflitto viene risolta talora con l’esclusione dal voto, talaltra con la suddivisione in classi; tuttavia, le commissioni parlamentari avevano condivisibilmente giustificato il diverso e più favorevole trattamento del proponente col fine di non disincentivare la presentazione di proposte alternative [14] .
Oltre al classamento, ad ulteriore protezione dei creditori funge la competizione determinata dalla proposta principale del debitore, la quale mitiga i rischi di approvazione di una proposta di ristrutturazione ostile al ribasso.
Tuttavia, proponente e debitore non combattono ad armi pari: il proponente e le sue parti correlate possono esprimere un voto duplice, ovviamente a favore della proposta concorrente e contro quella del debitore, ma ciò non vale specularmente per il debitore e alcune sue parti correlate.
Infatti il debitore non può votare affatto, né a favore della propria proposta (salvo i casi dell’art. 120-ter, successivamente descritti) né contro quella concorrente, e i congiunti e le società a lui vicine non possono votare a favore della proposta del debitore, stante la presunzione assoluta di conflitto di interessi del primo periodo dell’art. 109, comma 6, ma possono solo votare contro la proposta del proponente.
Questa asimmetria condanna la proposta del debitore a ricevere meno consensi rispetto a quella del proponente e ne attenua la forza competitiva; per ripristinare un parziale equilibrio si è ritenuto in dottrina che il creditore proponente e le sue parti correlate non possano votare sulla (cioè: contro la) proposta del debitore essendo in conflitto di interessi, questa volta ai sensi del secondo periodo dell’art. 109, comma 6, ma non c’è unanimità sul punto [15] .
Per reciprocità non vedo inoltre ostacoli a che il socio possa votare contro la proposta concorrente ogni qualvolta sia ammesso a votare a favore della propria ex art. 120 ter; il voto sulla proposta altrui dovrebbe però essere esplicito, non giustificandosi in questo caso il silenzio assenso.
In un ulteriore caso di potenziale conflitto di interessi da proposta al ribasso si trovano i soci, persone fisiche o enti collettivi, che votino un concordato in continuità diretta e che abbiano dunque interesse a massimizzare la parte riservata a sé del valore risultante dalla ristrutturazione, a danno dei creditori.
La geometria dei diritti di voto e ripartizione del valore ai soci è complessa e trova regolamentazione negli artt. 120 ter e 120 quater; voto e regole distributive flessibili hanno lo scopo di motivare i soci ad adoperarsi per accelerare l’accesso agli strumenti e, successivamente, a non frapporre veti o ostacoli alle modalità di risanamento [16] .
La circostanza che il piano in continuità riservi sempre [17] valore ai soci, rendendoli parte interessata, non comporta automaticamente che gli spettino diritti di voto, come l’art. 87, lett. l-m) lascerebbe intendere, poiché deve ricorrere uno dei tre casi previsti dall’art. 120 ter, commi 1 e 2: apposita previsione della proposta, modificazioni nel piano che incidono direttamente sui diritti di partecipazione dei soci o ricorso della debitrice al mercato del capitale di rischio. Se ciò accade, i soci devono essere inclusi in classi distinte ed il silenzio vale assenso, così da evitare che la loro apatia abbia effetti ostruzionistici.
Un valore può essere riservato ai soci soltanto nel concordato in continuità diretta, poiché in quello in continuità indiretta di norma, e in quello liquidatorio sempre, l’intero valore ricavato dalla vendita dell’azienda e di altri beni e diritti è destinato ai creditori e nulla viene riservato ai soci [18] .
Merita un approfondimento la determinazione del valore risultante dalla ristrutturazione riservato ai soci di cui all’art. 120 quater (per economia espositiva di seguito “valore riservato ai soci”), per comprendere la natura e l’entità del conflitto distributivo sotteso.
Non vi è unanimità in dottrina sul suo significato. Taluni hanno ipotizzato che coincida col valore eccedente quello di liquidazione [19] , ma così non può essere, perché il valore eccedente spetta ai creditori, non ai soci. Altri lo hanno invece identificato col valore effettivo della partecipazione determinato con metodi aziendalistici, includendovi però anche il terminal value, cioè i flussi finanziari accumulati dopo l’orizzonte del piano [20] .
Ritengo controverso che il valore effettivo debba includere il valore terminale, per la considerazione pratica che quest’ultimo normalmente rappresenta una quota tanto consistente quanto aleatoria del valore complessivo e per la considerazione teorica che maturerà in un’epoca in cui generalmente la proposta sarà già stata adempiuta e il creditore non avrà più nulla da pretendere.
Chiunque si sia cimentato nella valutazione di aziende ha sperimentato come spesso il valore terminale assuma valori sorprendenti per non dire irragionevoli, anche considerato che è, tra le due componenti della valutazione (l’altra essendo il valore puntuale sulla base dei flussi del piano), quella a più lontana formazione nel tempo e quindi di maggiore aleatorietà. Per dare un’idea, negli Stati uniti il valore terminale è risultato pesare sulla valutazione complessiva di aziende per il 56% nell’industria del tabacco, 81% negli articoli sportivi, 100% nella cura della persona e 125% nell’high tech, e sono valori ancora più rilevanti se si considera che il valore puntuale era stato determinato su un orizzonte di ben otto anni [21] .
Non si dovrebbe esportare in campo concorsuale una prassi relativa a trattative per la cessione di aziende; se si consente ad ogni classe dissenziente di ostacolare l’omologazione esigendo la distribuzione a proprio favore, rispetto alle classi di rango pari o inferiore, di un plusvalore che comprenda una componente così ingente ed aleatoria come il valore terminale, è destino che si alimenti nei creditori una “coscienza di classe” riottosa e che scemi l’interesse dei soci ad essere coinvolti nel salvataggio, vanificando una finalità importante della priorità relativa
Infatti, i due meccanismi del primo e secondo periodo dell’art. 120 quater, comma 1 [22] comportano che il minor soddisfacimento che la classe prevedibilmente dissenziente può imporre alle classi di pari o inferiore rango si propaghi automaticamente a cascata fino alle classi di creditori di grado infimo e da lì ai soci, schiacciandone le pretese. Tanto più alta sarà la stima del valore riservato ai soci, tanto più saranno compromesse le aspettative dei creditori junior e così dei soci.
Ed è da notare che di classe dissenziente ne basta anche solo una per mettere a repentaglio il concordato in continuità diretta, perché il dissenso di quella classe non può essere messo a tacere con le regole della maggioranza, come invece previsto col cram-down dell’art. 112, comma 2. Se poi le classi recalcitranti sono due, per ipotesi entrambe chirografarie, come se ne esce? In nessun modo, mi pare, non potendo l’una essere trattata meglio dell’altra.
L’unico rimedio è che i soci riescano a stipulare un “patto” preventivo con le classi di creditori, ma offrendo quali utilità alternative, salvo, ai fornitori, la prospettiva d’affari? E se si raggiunge quel consenso, forse per il debitore è meglio virare verso un PRO, che gli lascia più mano libera.
Per ricondurre su un piano realistico i contrapposti assetti di interessi, mi parrebbe ragionevole ipotizzare che il “valore effettivo” riservato ai soci debba essere calcolato in modo puntuale nel medesimo arco temporale del piano in cui si generano risorse per i creditori e non anche quelli del periodo successivo, sul quale questi ultimi non possono accampare alcun diritto; arco del piano che normalmente è di cinque anni salvo eccezioni adeguatamente giustificate [23] .
I creditori trovano già tutela rispetto ad espropri del loro credito nell’attestazione di trattamento non deteriore rispetto alla liquidazione giudiziale, prevista dall’art. 87, comma 3, perché l’attestatore, nello stimare il prezzo teorico di collocazione all’asta dell’azienda, terrà conto dell’eventuale terminal value che il mercato è in grado di esprimere [24] .
Il valore riservato ai soci dovrebbe essere determinato con una perizia disposta dal tribunale solo in caso di opposizioni di classi dissenzienti, in analogia a quanto previsto per la stima del complesso aziendale dall’art. 112, comma 4 e per coerenza con il principio, desumibile dalla Direttiva (considerando 50), che le valutazioni dovrebbero essere ridotte al minimo. Imporre al debitore di esplicitare ai creditori la propria valutazione prima delle operazioni di voto a poco servirebbe, essendo di parte e non soggetta ad attestazione.
Tornando al tema del conflitto di interessi, attribuire il voto ai soci ha un prezzo: quello di consentire loro di diventare arbitri della soluzione concordataria. In dottrina si è sostenuto che essi sarebbero normalmente portati ad ostacolare l’approvazione della proposta concordataria [25] , ma credo invece che possano altrettanto spesso favorirla, tanto più quando amministratori interessati in proprio o per conto di terzi riservino ai soci un valore di entità molto generosa.
Soci arbitri della soluzione concordataria sì, ma solitari, cioè senza il voto delle società del gruppo della società debitrice, che è precluso ex art. 109, comma 6, primo periodo. Tuttavia, le società del gruppo della debitrice dovrebbero poter votare quando chiamate ad esprimersi su una proposta concorrente formulata non dalla debitrice bensì dai soci ex art. 120 bis, comma 5; si ripropone qui infatti la “apparente distonia” tra il comma 6 e il comma 7 dell’art. 109 [26] , che il legislatore ha inteso risolvere nel senso di incentivare la formulazione di proposte alternative, e che dovrebbe consentire di interpretare estensivamente il comma 7 così, appunto, da ammettere al voto le società del gruppo della società debitrice quando si esprimano sulla diversa proposta dei soci.
Quale tutela per i creditori potenzialmente lesi dal conflitto di interessi legalizzato dell’art. 120-ter? L’obbligatorio classamento separato dei soci e soprattutto il cram down dell’art. 120 quater, il quale assicura appunto che il valore di ristrutturazione riservato ai soci non lo sia a spese della classe dissenziente, bensì soltanto a detrimento delle classi di pari o inferiore rango.
Non si può escludere neppure l’impugnazione ex art. 2391 c.c. da parte di singoli amministratori e sindaci delle deliberazioni consiliari che decidono il contenuto di una proposta compiacente nella quale i soci interessati … lo siano troppo, mettendo così a repentaglio il consenso dei creditori.
7 . Altri conflitti da proposte al ribasso
Le due ipotesi appena illustrate di proposte al ribasso in cui il legislatore consente il voto seppur classato costituiscono appunto eccezioni; negli altri casi in cui il creditore ha in comune con il debitore l’interesse al minimo esborso, il rimedio più appropriato e proporzionato mi pare senza dubbio quello di togliergli ogni potere di voice avendo egli un interesse strutturale, certamente non meritevole di tutela giuridica [27] , ad un soddisfacimento subottimale dei creditori.
Ritengo quindi ragionevole precludere il voto al creditore che risulti contemporaneamente titolare di una partecipazione dominante o rilevante nell’assuntore del concordato (nell’assuntore, si badi bene, non nel soggetto che formula una proposta concorrente per assunzione), non essendovi una contendibilità da tutelare tramite voto classato, in quanto la proposta con assuntore proviene pur sempre dalla debitrice; per la verità la giurisprudenza [28] aveva in tal caso ritenuto sufficiente la collocazione in una classe distinta, ma all’epoca non esisteva ancora la norma esplicita sul conflitto di interessi.
L’esclusione mi sembra appropriata anche considerato che una proposta per assuntore è sostanzialmente una proposta chiusa, data l’inammissibilità di offerte concorrenti [29] e data la troppo blanda competizione delle proposte concorrenti, che non hanno mai realmente preso piede e che comunque sono inertizzate da una domanda del debitore sopra-soglia ex art. 90, comma 5.
Va esaminata la posizione del creditore postergato in quanto socio direttamente (può essere solo una persona fisica, perché la società non vota ex art. 109, comma 6, primo periodo) o per interposta persona. È in conflitto di interessi?
L’evoluzione giurisprudenziale prima della riforma aveva portato la Cassazione a ritenere che il creditore postergato potesse partecipare al voto avendo “un interesse giuridicamente rilevante ad esprimere il proprio gradimento o meno sulla proposta concordataria rispetto all’alternativa fallimentare”. A maggior ragione dovrebbe poterlo fare oggi che lo stesso soggetto può votare quale socio ex art. 120 ter per il capitale posseduto [30] .
Peraltro, nel concordato liquidatorio il creditore postergato non ha molti spazi per ritagliarsi vantaggi indebiti né come socio né come creditore, per l’inderogabile applicazione sul patrimonio sociale degli artt. 2740 e 2741 c.c. (art. 84, comma 4); inoltre se egli è, o è stato, amministratore, un concordato liquidatorio non gli assicura più una “comoda sinecura” dall’azione di responsabilità, che può essere esercitata ex art. 115 da un liquidatore giudiziale oggi più indipendente di ieri [31] . Infine, il calcolo della maggioranza anche per teste in caso di presenza di un creditore tiranno riduce il rischio di inquinamento del voto.
Nel concordato in continuità, dove i creditori terzi non godono di queste tutele, più forte è il rischio che il voto determinante di soci postergati conduca ad abusi da proposta al ribasso, ma, come detto, se l’art. 120 ter consente il voto sul capitale posseduto, sarebbe incongruo negarlo sul quasi-capitale prestato, anche se ciò comporta il sacrificio della finalità di ordine pubblico economico dell’art. 2467 c.c. di non consentire al socio di ritrarre alcuna utilità tipica dal proprio credito affinché sia indotto a immettere sin dall’inizio in società risorse a titolo di equity [32] .
Nell’ipotesi di esclusione dal voto e non certamente di voto classato, dovrebbe ricadere pressoché sempre il creditore che abbia fatto mercato del proprio voto, perché il reato presuppone un accordo fraudolento col debitore che, nella normalità dei casi, avrà proprio come scopo il minimo esborso, e perché le parti condividono un motivo illecito, in quanto sanzionato da una norma penale.
Il creditore in conflitto non deve necessariamente essere parte correlata del debitore, potendo anche trattarsi di un prestanome o di un soggetto interposto fittiziamente, essendo sufficiente che si trovi in una situazione di fatto tale da renderlo in qualche modo interessato a minimizzare il sacrificio economico del proponente [33] .
Situazione di fatto che si può anche desumere dalle circostanze, come nel caso della condotta platealmente antieconomica di acquisto di crediti in sicura perdita, effettuato in pendenza del periodo in cui sono ammesse le votazioni ed esprimendo il voto a favore della proposta meno conveniente anziché per quella che presentava il maggior realizzo; in tal caso si è ritenuto che i cessionari non avrebbero dovuto votare, perché portatori di interessi coincidenti con la società che aveva proposto il concordato [34] .
Per converso è stato escluso il conflitto di interessi del creditore titolare della maggioranza dei crediti della classe ove era stato collocato, per averne acquistati durante la procedura concorsuale [35] . Neppure l’acquisto di un credito in condizioni di normale terzietà, anche ad un prezzo molto esiguo tale da realizzare un ingente guadagno, determina il divieto di voto o l’obbligo di classamento autonomo [36] .
Se da un lato è possibile la sterilizzazione di un voto favorevole, è invece da escludere quella del voto contrario e che ciò possa determinare l’annullamento del voto negativo riqualificando come favorevole la classe dissenziente a cui appartiene, per il semplice motivo che, aderendo alla tesi che ho prospettato, il conflitto da proposta al ribasso – l’unico che legittima l’esclusione dal voto – lo presenta soltanto chi voti a favore di una proposta, non chi voti contro.
Ovviamente, quando il conflitto non sia già stato rilevato ex ante vi sono spazi di opposizione all’omologazione e di impugnazione della stessa soltanto ove il voto contestato sia determinante all’interno della classe; peraltro la prova di resistenza non è ignota al Codice, che ne impone già la verifica in caso di opposizione all’omologazione da parte del creditore contestato non ammesso al voto (art. 108).
La prova di resistenza evoca l’art. 2373 c.c. e quindi l’ulteriore requisito del danno potenziale; in assenza di quest’ultima condizione una delibera societaria resta inattaccabile, anche se approvata col voto determinante del socio che versa in conflitto di interessi.
Per analogia, parte della dottrina che si occupa di crisi di impresa ha perorato una interpretazione “orientata alle conseguenze” [37] tramite sindacato giudiziale sulla dannosità concreta del conflitto di interessi nel concordato, ma una interferenza così penetrante nella formazione del consenso finirebbe per annichilire la volontà delle parti.
Ritengo dunque che il voto debba essere inibito a prescindere dall’esistenza o meno del danno potenziale; peraltro: (i) il Codice non fa menzione del criterio e (ii) la valutazione del danno si risolverebbe sostanzialmente in un giudizio sul merito della proposta, che è precluso all’autorità giudiziaria [38] , o comunque in un giudizio sulla sua convenienza rispetto ad altre alternative concretamente praticabili in assenza di conflitto, che è altrettanto precluso all’autorità giudiziaria e che comunque condurrebbe a risultati aleatori e controversi.
In altri termini, quando i rapporti di un creditore col debitore non sono totalmente immacolati, l’approvazione diventa un compito solo degli altri creditori, anche se la proposta appare ineccepibile.
8 . Il conflitto da interesse esterno
L’interpretazione dottrinale secondo la quale ogni vantaggio esterno al concorso, anche senza l’intento di far approvare una proposta al ribasso, determinerebbe un conflitto di interessi tale da escludere il voto contrasta con la libertà economica degli individui; aderirvi significa, ad esempio, precludere ad un creditore di votare a favore di una proposta per evitare il rischio di un’azione revocatoria [39] oppure di votare contro di essa per eliminare un concorrente sgradito [40] .
Questa interpretazione sistematica secondo la quale il creditore dovrebbe essere imparziale non può corrispondere alla intenzione del legislatore e ci sono diversi indicatori in tal senso.
In primo luogo, in una visione contrattualistica, se la causa del concordato è la regolazione della crisi [41] , cioè “la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei crediti” (art. 87), allora i motivi per i quali il creditore accetta o meno la proposta votando a favore o contro di essa sono irrilevanti ex art. 1345 c.c., salvo che egli condivida con il debitore gli stessi motivi illeciti. E si fa fatica ad individuarne, di motivi illeciti, al di fuori del caso di mancanza di alterità di interessi tra debitore e singolo creditore tale da danneggiare gli altri creditori; ipotesi che rappresenta una violazione della disposizione, probabilmente imperativa e tale da rendere appunto illeciti i motivi, contenuta nell’art. 112, comma 1: la regolarità della procedura.
Si potrà sostenere che con l’introduzione delle nuove regole di voto è sfumata la visione contrattualistica del concordato in continuità, ma l’ipotesi che esso possa essere approvato con il voto favorevole di una sola golden class e, al suo interno, con il voto favorevole dei soli … golden boys titolari del 33% dei crediti non ne sopprime la natura para-negoziale, poiché se il legislatore avesse voluto rendere il concordato uno strumento eminentemente processualistico, avrebbe privato i creditori di ogni potere decisionale, come nel concordato semplificato [42] .
Così come non stupisce che venga considerato irrilevante il non-voto del creditore apatico, che è escluso dal quorum deliberativo affinché non governi con l’assenza come un remoto imperatore cinese, non dovrebbe sorprendere che venga considerato irrilevante (perché irragionevole e ostruzionistico?) il voto contrario di tutte le classi meno una, quella “interessata” – o anche “maltrattata”, per chi aderisca quest’ultima tesi [43] . I creditori dissenzienti devono accontentarsi di quello che passa il convento [44] , secondo le regole della ristrutturazione trasversale, essendo irrilevante il loro consenso.
In secondo luogo, se quella dei creditori è una collettività con un interesse comune, ciò non significa che i suoi membri siano legati da doveri reciproci, perché il creditore non ha alcuna obbligazione ex art. 1173 c.c. nei confronti di un altro creditore; non da contratto [45] , non da fatto illecito e neppure da altro atto o fatto idoneo secondo l’ordinamento a produrla, posto che l’art. 4 gli impone di collaborare lealmente soltanto con il debitore e con gli organi della procedura ma non con i creditori. Vero è che gli si chiede anche di comportarsi genericamente secondo buona fede e correttezza (senza precisare verso chi), ma questo comporta soltanto che egli sia tenuto a salvaguardare gli interessi altrui ove ciò non comporti un sacrificio apprezzabile per i propri [46] .
In terzo luogo, l’art. 109, comma 6, primo periodo contiene due presunzioni assolute di conflitto di interessi, ed è significativo che si tratti di divieti che colpiscono proprio coloro – i congiunti e le società del gruppo – che per la vicinanza al debitore sono quasi certamente indotti a votare per una proposta al ribasso.
In quarto luogo, l’art. 53, comma 5 bis prevede il caso del “reclamo accolto ma respinto”; prevede, cioè, che la Corte di appello possa accogliere un’opposizione all’omologazione non revocando il concordato bensì confermandolo, quando l’interesse generale dei creditori (e dei lavoratori) prevale rispetto al pregiudizio subito dal reclamante, riconoscendo a quest’ultimo il risarcimento del danno. Questa regola di priorità può essere applicata solo in appello (perché così è bizzarramente previsto dall’art. 16 della Direttiva) e solo in contropartita di un indennizzo. Ne deduco che il giudice non può, nel precedente giudizio di omologazione, far prevalere un interesse comune dei creditori rispetto a quello del singolo.
Per ultimo, se tali conflitti impedissero il libero esercizio del voto, ne risulterebbe violato un caposaldo culturale e ideologico dell’occidente: il diritto, in campo economico, alla ricerca egoistica del proprio interesse, che attraverso la mano invisibile realizza anche l’interesse della collettività [47] .
In conclusione, al di fuori dell’interesse a votare una proposta al ribasso, ritengo che un qualunque interesse esterno del creditore non debba condurre all’esclusione del voto ma tuttalpiù alla sua inclusione in una classe distinta. Che è, poi, la soluzione indicata dallo stesso legislatore nel caso del creditore che goda di una garanzia collaterale, trattato dall’art. 85 su specifico impulso della legge delega 155/2017.
La giurisprudenza aveva individuato un potenziale conflitto di interessi nel creditore chirografario assistito da garanzia di terzi, personale o reale, ritenendolo portato ad esprimere il consenso ad un concordato non conveniente per gli altri creditori [48] ; invece in dottrina si era all’opposto osservato che in virtù della garanzia collaterale il creditore è indifferente alle sorti della procedura ed evita di votare [49] .
In realtà, un creditore garantito da terzi dovrebbe essere indotto a votare con le stesse dinamiche di massimizzazione del risultato degli altri creditori; ciò sia per la parte del suo credito che non è garantita, sia, se è un creditore accorto, per la parte garantita, essendo tenuto a tutelare la posizione del garante in base al principio di buona fede e correttezza, se non vuole perdere la garanzia (Cass. 32478/2019). Il creditore razionale vota quindi in base a un doppio calcolo: il suo e quello del terzo, di cui praticamente si rende portavoce [50] .
Preso comunque atto che l’art. 85 impone il classamento di colui che vanti un credito verso l’impresa in concordato assistito da garanzie di terzi, è verosimile che altrettanto valga per colui che vanti un credito verso terzi assistito da garanzie dell’impresa in concordato, potendo in entrambi i casi fare affidamento sia sul patrimonio del debitore principale che del garante [51] .
Le altre ipotesi di classamento obbligatorio di cui all’art. 85 non sono invece strettamente riconducibili a conflitti di interessi, così come non è in conflitto di interessi il creditore con garanzia su beni del debitore per il quale non ricorrano le condizioni di cui all’art. 109, comma 5 (pagamento in denaro, integralmente, entro centottanta giorni dall’omologazione o trenta se è un credito da lavoro), anche se il più delle volte presenterà diritti di voto decisamente sproporzionati rispetto al sacrificio patito, come è ad esempio il creditore privilegiato da soddisfare nei sei mesi dall’omologazione che voti per la mancata previsione del pagamento degli interessi ex artt. 96 e 153, e quindi mancato pagamento “integrale”.
In ogni caso è significativo che il legislatore abbia scelto di regolare il supposto conflitto da garanzia collaterale tramite l’inclusione in una classe separata e nulla di più, ed in effetti il classamento separato appare essere una misura proporzionata in presenza di un generico interesse esterno al concorso esorbitante da quello comune al miglior soddisfacimento, poiché in fondo non si tratta d’altro che di un creditore che ha una posizione giuridica e un interesse economico disomogenei rispetto agli altri creditori [52] , e non invece di un creditore in conflitto di interessi ex art. 109, comma 6, secondo periodo.
D’altronde, per quale motivo il canone del miglior soddisfacimento dovrebbe impedire il voto di un creditore che non lo persegua, se non obbliga neppure il debitore a formulare la migliore soluzione regolatoria della crisi?
Non condivido che sia da escludere dal voto [53] , bensì che debba soltanto essere inserito in una classe autonoma, il creditore che abbia stipulato con il debitore un contratto di acquisto di un ramo di azienda sottoposto alla condizione sospensiva dell’omologa del concordato, e che quindi diventerà proprietario del bene solo se il concordato verrà omologato.
La competitività, infatti, è diventata dal 2015 la regola delle vendite concordatarie in ogni stadio della procedura, e ciò assicura che l’azienda sia venduta al miglior prezzo possibile scongiurando il rischio di proposte al ribasso. Inoltre, una condizione come quella descritta risponde ad una logica di autotutela del promissario acquirente quando sui beni aziendali gravino formalità pregiudizievoli.
In tal caso, infatti, il giudice si guarderà bene dal cancellarle prima dell’omologazione, per evitare pregiudizi al creditore privilegiato, salvo aderire alla tesi della surrogazione reale, cioè del trasferimento della prelazione dal bene originario al bene sostitutivo [54] ; tesi che mi pare non del tutto rassicurante poiché darebbe luogo ad una garanzia non possessoria priva di formalità e quindi inopponibile ai terzi.
Qualora per converso il giudice cancellasse precocemente le formalità pregiudizievoli, il creditore privilegiato si troverebbe esposto al rischio di dissipazione del prezzo della vendita da parte dell’imprenditore, essendo questi tenuto a distribuirglielo solo dopo l’omologazione; gli organi della procedura possono adottare tecniche di riduzione del rischio, ma non sono a prova di bomba, soprattutto in caso di ritorno in bonis del debitore. Quindi, condizionare l’acquisto di un ramo d’azienda all’omologazione rappresenta un interesse meritevole di essere tutelato, non di essere punito con l’esclusione dal voto.
L’inclusione in classi autonome ha generalmente la funzione di garantire l’adeguatezza distributiva in presenza di condizioni di omogeneità di posizione [55] e di assicurare che “le parti interessate siano trattate in classi distinte che rispecchiano una sufficiente comunanza di interessi” “affinché i diritti che sono sostanzialmente simili ricevano pari trattamento” [56] .
Nel caso specifico dei creditori in conflitto di interessi la classe ad hoc serve anche per segnalare alle altre classi l’esistenza del conflitto e per espungere da queste ultime il voto in conflitto, sì da non inquinarne la formazione delle maggioranze. La segregazione in classe dei creditori in conflitto di interessi opera, cioè, come una sorta di muraglia cinese; solo che protegge chi ne sta fuori, non dentro.
Ed allora, se si aderisce alla tesi dottrinaria secondo la quale l’elenco delle classi obbligatorie è esemplificativo e non tassativo [57] , nonostante il tenore perentorio dell’art. 85 induca a ritenere il contrario [58] , il tribunale potrà eccepire la mancata formazione di classi di creditori portatori di interessi esterni.
Incidentalmente, dovrebbe essere sindacabile non solo la mancata creazione di classi ma anche la loro moltiplicazione artificiosa finalizzata al gerrymandering, cioè alla creazione di piccole classi popolate da creditori benevolinelle quali affogare il voto di quelli recalcitranti ed il cui consenso non sia necessariamente indice di equità del piano [59] .
Il controllo di esistenza del conflitto dovrebbe essere effettuato in ogni fase della procedura, in particolare nella sua fase di apertura [60] e non soltanto in sede di omologazione, come invece prescritto dall’art. 112, comma 1. Controllo da esercitare tanto nelle ipotesi che determinano il classamento quanto l’esclusione, tenendo presente in questo ultimo caso che anche quando il creditore abbia esercitato spontaneamente il self restraint occorrerà ricalcolare, abbassandolo, il quorum costitutivo.
Qualora emerga un conflitto da interesse esterno in una fase in cui non sia più possibile modificare la proposta (essendo decorso il termine ultimo ex art. 90 dei venti giorni che precedono la votazione) e il relativo credito non sia stato collocato in una classe autonoma, il concordato non dovrebbe andare ineluttabilmente incontro al diniego di omologazione: la caducazione della procedura sarebbe una soluzione irragionevole, poiché l’intero sistema del Codice è volto a far sopravvivere il concordato in continuità a tutti i costi, come dimostra l’art. 112.
Si potrebbe applicare il drastico rimedio del divieto di voto anche in caso di errata collocazione del credito in una classe disomogenea; tuttavia questa soluzione, oltre a privare ingiustamente il creditore della legittima aspirazione a esprimersi, incentiverebbe il debitore a studiate amnesie, includendo inizialmente un creditore in conflitto ed ostile (ad esempio un concorrente interessato ad affossare la proposta) in una classe eterogenea e chiedendone o facendone chiedere successivamente l’esclusione dal voto.
Meglio ritenere che il tribunale debba ricalcolare le maggioranze come se esistessero anche la o le classi (a questo punto virtuali) dei creditori in conflitto di interessi; Interventi “ortopedici” del tribunale sulla formazione delle classi non sono una novità nel panorama giurisprudenziale [61] e non rappresentano un cambiamento della proposta in senso sostanziale – la quale spetta solo al proponente – poiché non modificano il trattamento dei creditori (percentuale, tempi, garanzie etc.).
Nel caso della continuità, qualora dal riconteggio emerga che non è stata raggiunta l’unanimità delle classi, sarà possibile il ripescaggio di maggioranze più striminzite secondo le consuete regole di approvazione di un non consensual plan [62] . Il ripescaggio dovrebbe avvenire “su richiesta del debitore o con il consenso del debitore in caso di proposte concorrenti” [63] . La richiesta potrà essere formulata nella memoria ex art. 48 quando il mancato classamento sia stato eccepito da un creditore, oppure direttamente in udienza, quando sia rilevato d’ufficio e quindi costituisca una sorpresa per il debitore in buona fede – perché in caso di mala fede occorrerà valutare la revoca della procedura.
Occorre infine considerare che l’omogeneità delle classi non deve essere intesa in senso di assoluta identità, poiché altrimenti si avrebbero tante classi quanti sono i creditori, bensì di presenza di affinità elettive tra creditori, cioè di “concorrenza di tratti principali comuni di importanza preponderante che rendano di secondario rilievo gli elementi differenzianti” [64] ; in sostanza il concetto di omogeneità di interesse deve ricevere un’interpretazione quanto più possibile concreta, presumendo che l’interesse sia quello volto alla massima soddisfazione del credito [65] . Pertanto, una classe ad hoc potrà trovare giustificazione solo in una antitetica, o comunque forte, divergenza fra gli interessi esterni del singolo creditore e quelli della massa.
Il solo conflitto di interessi del creditore che ne determina l’esclusione dal voto e dal calcolo delle maggioranze ai sensi dell’art. 109, comma 6, secondo periodo si realizza quando questi condivida l’interesse perseguito dalla debitrice a concludere l’accordo con il minor esborso possibile, in contrapposizione con gli altri creditori a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti (conflitto da proposta al ribasso).
Quando invece il creditore sia portatore di interessi esterni al concorso, non relativi alla distribuzione del valore, è unicamente portatore di una posizione giuridica e di un interesse economico disomogenei rispetto agli altri creditori, tale da determinare l’obbligo – non la facoltà – di classamento distinto (conflitto da interesse esterno).
Note:
G. Vidal, Palimpsest – a memoir, 1995, First Vintage international Edition, edizione 2021, p. 325. Vidal, che ha vissuto in Italia, si riferiva alla scena politica di quei tempi.
Il riferimento è rispettivamente: per gli intermediari finanziari all’art. art. 21 TUF, per amministratori e soci di società di capitali agli artt. art. 2391, 2373, 2475 ter, 2479 ter c.c., per gli amministratori di banche all’art. art. 53, comma 4 TUB, per gli amministratori di intermediari finanziari all’art. 6, comma 2 novies TUF.
D. Maffeis, I limiti di azione del contraente egoista, in Conflitto di interessi e interessi in conflitto in una prospettiva interdisciplinare, a cura di R. Sacchi, Giuffré Francis Lefebvre, 2020, p. 547.
Applaude tuttavia all’indeterminatezza della norma F. Lamanna “non potendosi prevedere in anticipo ogni possibile situazione di questo tipo”, Il Codice della crisi e dell’insolvenza dopo il secondo correttivo, Giuffré Francis Lefebvre, 2022, p. 556.
Al punto da rappresentare un efficace strumento di prevenzione dell’evasione fiscale; G. Ragazzi, Il contrasto di interessi come strumento di prevenzione dell’evasione fiscale, in Conflitto di interessi e interessi in conflitto in una prospettiva interdisciplinare, a cura di R. Sacchi, Giuffré Francis Lefebvre, 2020, p. 401 ss.
Il socio votante non è propriamente creditore ma è comunque parte interessata del piano. Sul perché debba trattarsi di continuità diretta si veda la nota 15.
Interesse esterno al concorso è “interesse ad un vantaggio particolare da conseguirsi mediante il concordato, non condiviso dagli altri creditori e fondato non già sulla partecipazione al concorso, quanto su una situazione esterna del creditore”; così, G. D’attorre in Le sezioni unite riconoscono (finalmente) il conflitto d’interessi nei concordati, Il Fall., 2018, 8-9, p. 968 ss.
R. Sacchi, Concordato preventivo, conflitti di interessi fra creditori e sindacato dell’autorità giudiziaria, in Il Fall., 2009, 1, p. 33. Sullo stesso solco il (di poco) successivo Dai soci di minoranza ai creditori di minoranza, in Il Fall., 2009, 9, p. 1063 ss. L’autore non ritiene trattarsi di mercato del voto.
Nello stesso senso va anche la successiva ordinanza Cass. 2948/2021, commentata da A. Colnaghi, La Cassazione torna sul conflitto d’interessi nell’espressione del voto per l’approvazione del concordato fallimentare, in Il Fall., 2022, 1, p. 88.
D. Maffeis, I limiti di azione del contraente egoista, cit., p. 552.
Art. 109, comma 7 nel concordato preventivo; art. 243, comma 6 nel concordato nella liquidazione giudiziale; le disposizioni estendono l’obbligo di classamento alle società del gruppo del proponente ma si dimenticano i congiunti; si tratta di un vuoto normativo di poco conto nella pratica e comunque supplisce l’art. 85, comma 2, che estende (ma nel solo concordato preventivo) l’obbligo di classamento a tutte le parti correlate del proponente, sul solco di quanto indicato da Cass. SS.UU. 17186/2018.
Cass. SS.UU. 17186/2018 sembra aver recepito la posizione espressa in precedenza sul punto da G. D’Attorre, Il voto nei concordati ed il conflitto d’interessi fra creditori, Il Fall., 2012, 7, p. 762, nonché Esclusione dal voto del creditore in conflitto d’interessi, Il Fall., 2014, 3, p. 335 ss.
Lo evidenzia G. D’Attorre, Il conflitto di interessi fra creditori nei concordati, in Giur. Comm., 3/2010, 392 ss.
Si veda la Relazione illustrativa del 10 gennaio 2019 all’allora emanando D.Lgs. 14/2019, per la quale “L’apparente distonia tra il comma 6 ed il comma 7 si spiega perché nell’ipotesi disciplinata dal comma 7 la situazione di conflitto di interessi non è originaria ed inerente ai rapporti tra debitore e creditore, ma deriva dall’aver formulato una proposta concorrente. Si è dunque inteso non penalizzare il creditore proponente, bilanciando tale facoltà con la previsione dell’obbligatoria formazione di una classe.”
A favore del divieto di voto G. Bozza, Il sistema delle votazioni nei concordati tra presente e futuro, in Dirittodellacrisi.it, 2022. Ritiene invece che il creditore autore della proposta concorrente sia ammesso a votare anche sulla proposta del debitore, oltre che sulla propria, R. Brogi, Il conflitto di interessi nel Codice della crisi, Il Fall., n. 5/2023, p. 606.
M. Perrino, “Relative priority rule” e diritti dei soci nel concordato preventivo in continuità, in Dirittodellacrisi.it, 2022.
Un piano in continuità diretta riserva sempre un valore ai soci, implicitamente o esplicitamente, se non altro perché l’art. 89 impone l’esistenza all’omologazione di un patrimonio netto (contabile) positivo. Per questo l’inciso dell’art. 120 quater “se il piano prevede che il valore…” deve essere interpretato in senso atecnico.
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci nel concordato in continuità aziendale, in Dirittodellacrisi.it, 2023, p. 5.
M. Arato, Il confine dell’utilità economicamente rilevante: l’attribuzione di azioni e strumenti finanziari partecipativi, in Dirittodellacrisi.it, 7 ottobre 2022, p. 5.
A. Guiotto, Il valore riservato ai soci…, cit., p. 7.
Nell’high tech è pari a 125% perché il valore puntuale sui primi otto anni è negativo per il 25%. Si dà conto di questa circostanza in un best seller sulla valutazione delle aziende; T. Koller, M. Goedhart, D. Wessels. Valuation: Measuring and Managing the Value of Companies, McKinsey & Company, Wiley Finance (English Edition), 2020, p. 285.
In forza del quale “il concordato, in caso di dissenso di una o più classi di creditori, può essere omologato se il trattamento proposto a ciascuna delle classi dissenzienti sarebbe almeno altrettanto favorevole rispetto a quello proposto alle classi del medesimo rango e più favorevole di quello proposto alle classi di rango inferiore, anche se a tali classi venisse destinato il valore complessivamente riservato ai soci. Se non vi sono classi di creditori di rango pari o inferiore a quella dissenziente, il concordato può essere omologato solo quando il valore destinato al soddisfacimento dei creditori appartenenti alla classe dissenziente è superiore a quello complessivamente riservato ai soci.”.
Decreto dirigenziale 21 marzo 2023 sulla verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento nella composizione negoziata, Ministero della Giustizia, sezione II par. 4.2; IAS 36 cap. 33; OIC 9 cap. 23; Principi per la redazione dei piani di risanamento, vers. 2022, CNDCEC, cap. 4.1.4; Principi di attestazione dei piani di risanamento, 2020, CNDCEC, cap. 6.5.11 ed altri.
L’art. 84, comma 1 prescrive “il soddisfacimento dei creditori in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione giudiziale mediante la continuità aziendale”. Così anche il considerando 49 della Direttiva.
A. Rossi, I soci nella regolazione della crisi della società debitrice, le Società, 3033, 8-9, p. 955.
Vedasi nota 14.
Per l’applicazione dell’art. 1322 c.c. ai concordati M. Spiotta, Evoluzione del diritto concorsuale e modello concordatario: unitarietà o pluralità? in Il Fall. 2023, 7, p. 869, nota 53.
Trib. Milano, 5 dicembre 2018, commentata da A. Guiotto, Destinazione dei flussi di cassa e gestione dei conflitti d’interessi nel concordato preventivo con continuità aziendale, Il Fall. 2019, 8-9, p. 1095 ss.
Trib. Milano 15 giugno 2017 e 13 dicembre 2018, Trib. Monza 31.10.2018, Tribunale Forlì, 25 febbraio 2019. Contro, Torino 19 giugno 2018.
Il creditore postergato vota sia nel concordato liquidatorio che in continuità secondo G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, p. 146.
Il Codice ha infatti soppresso la possibilità di designazione del liquidatore su indicazione del debitore, precedentemente legittimata dall’inciso “Se il concordato … non dispone diversamente …” contenuto nell’art. 182 L. fall..
D. Galletti, La postergazione legale dei crediti – l’incentivazione delle condotte finanziarie virtuose di fronte alla crisi, Università di Trento, 2021, p. 61.
Corte d’appello di Milano, 3 febbraio 2022.
Trib. Vicenza, 19 luglio 2019. Dà conto della formulazione di un risalente orientamento opposto in dottrina G. Nuzzo, Il conflitto di interessi dei creditori nei concordati, Milano, 2019, p. 7.
Trib. Milano, 19 luglio 2019.
Corte d’appello di Milano, 3 febbraio 2022.
G. Nuzzo, Rurles vs. standards e voto nei concordati, Banca, borsa e tit. cred., 1/2019, p. 117. Ritiene che il tribunale possa svolgere un giudizio di merito anche V. Calandra Buonaura: Disomogeneità di interessi dei creditori concordatari e valutazione di convenienza del concordato, in Giur. Comm. 1/2012, p. 27/I.
S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione …, cit., p. 17. Lo riteneva invece ammissibile G. Terranova, Conflitti d’interessi e giudizi di merito nelle soluzioni concordate delle crisi d’impresa, in Problemi di diritto concorsuale, Padova, 2011, p. 105 ss.
L’esonero da revocatoria costituirebbe addirittura una modalità di soddisfazione del credito concordatario per S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione del concordato preventivo: oggetto, regole, controlli, in Dirittodellacrisi.it, 2023, nota 118, p. 65. In questa prospettiva risulta ancora più stridente impedire il voto al creditore che ottenga con l’esenzione da revocatoria la forma del proprio soddisfacimento.
Segnala però un caso nei liberalissimi Stati Uniti di annullamento di un voto negativo espresso in bad faith da un imprenditore concorrente con quello in concordato al solo fine di eliminare quest’ultimo dal mercato G. Nuzzo, L’abuso del diritto di voto nel concordato preventivo, Università degli studi Roma 3, 2018, p. 184.
M. Fabiani, Un affresco sulle nuove ‘milestones’ del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 2022.
Definisce a più riprese il concordato una soluzione negoziale della crisi S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione …, cit.
G. D’Attorre, Classi “interessate” e classi “maltrattate” nella ristrutturazione trasversale, in Dirittodellacrisi.it, 2023.
Beggars can’t be choosers; S. Morri, Tentativo di interpretazione dell’art. 112, comma 2, CCII: un mistero avvolto in un enigma, in ilfallimentarista.it, 2023.
E per questo motivo mi pare inappropriato il richiamo fatto da Cass. SS.UU. 17186/2018 e da molta dottrina per analogia al conflitto di interessi del socio con la società dell’art. 2373 c.c. poiché i soci, a differenza dei creditori, sono legati alla società e tra loro dal contratto sociale. Così anche G. Terranova, Conflitti d’interessi …, cit., p. 112.
Cass. 3775/1994.
Si veda, se si vuole, P.G. Cecchini, L’egoismo del macellaio e il conflitto di interessi nel concordato, in ilfallimentarista.it, 2019.
Cass. SS.UU. 3749/1989 e Trib. Milano, Trib. Milano, 4 dicembre 2008.
Dà conto delle diverse posizioni dottrinarie D’Attorre, La maior pars non sempre è la sanior pars: i creditori in conflitto d’interessi non possono votare sulla proposta di concordato; Giur. Comm., 2/2019, pag. 312 ss.
P. Menti, Sul conflitto di interessi nel concordato preventivo della società garantita da soci illimitatamente responsabili, Giur. Comm., 1/2019, p. 142 ss.
Di una contestazione su questa fattispecie si occupa Cass. 9378/2018, commentata da F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, Il Fall., 2018, 12, p. 1415 ss.
Dove per posizione giuridica si intende il tratto giuridico caratterizzante, ad esempio l’essere a rischio di revocatoria, mentre per interesse economico si intende il tornaconto vantato dal titolare; i due criteri hanno carattere concorrente e congiunto, non alternativo (Cass. 9378/2018).
Così invece G. D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, Giappichelli, 2022, p. 146.
Si veda D. Galletti, Tutela del creditore privilegiato e vendita del bene vincolato nel concordato, in Ilfallimentarista.it, 2017, e prima ancora L. Guglielmucci, Liquidazione dell’attivo fallimentare che preveda il conferimento dell’azienda in una new co e la successiva vendita dell’intero pacchetto azionario, in Contr. e impr., 3/2008, p. 551.
Cass. 9378/2018.
Art. 9 e considerando 44 della Direttiva.
M. Fabiani, Sistema, principi e regole del diritto della crisi d’impresa, Editore La Tribuna, 2023, p. 537, per il quale in verità il tribunale può sindacare la mancata formazione delle classi purché si tratti di fattispecie correlate a quelle dell’art. 85. Favorevole al classamento obbligatorio prima della riforma anche F. Rolfi, Sui criteri di formazione, cit., p. 1424, il quale in nota dà anche conto della nutrita schiera di posizioni opposte.
G. Nuzzo, Il conflitto di interessi dei creditori nei concordati, Milano, 2019, p. 27, il quale, esaminati anche altri ordinamenti, propende al contrario di Fabiani per la non obbligatoria formazione di altre classi ulteriori a quelle dell’art. 85.
INSOL Europe, Guidance Note on the Implementation of Preventive Restructuring Frameworks under EU Directive 2019/1023, aprile 2020.
Non esiste una disposizione specifica in tal senso, ma non si spiegherebbe altrimenti perché il controllo preventivo debba essere esercitato in caso di proposte concorrenti (art. 90, comma 7) e di piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione (art. 64 bis, comma 4, lett. a) e non nel concordato preventivo. L’assegnazione di un termine non superiore a 15 giorni per integrare il piano ex art. 47 consente di ripescare una proposta con classi disomogenee.
Trib. Milano, 19 luglio 2011.
Non applicandosi immediatamente l’art. 111 in caso di concordato in continuità; M. Fabiani, Un affresco sulle nuove ‘milestones’ del concordato preventivo, in Dirittodellacrisi.it, 2022, p. 41. È però necessaria un’apposita istanza del debitore; S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione …, cit, p. 21.
Mi pare incongruo consentire al debitore di bloccare una proposta concorrente che può migliorare la situazione dei creditori e che gli è quasi sempre ostile, ma tanto dispone l’art. 11 della Direttiva, e il legislatore non ha potuto far altro che recepire la disposizione nell’art. 112 del Codice.
Cass. 9378/2018, la quale precisa che l’individuazione di tali tratti comuni rientra nei compiti affidati al giudice di merito, le cui valutazioni non sono censurabili se adeguatamente motivate. L’elegante locuzione affinità elettive è di S. Leuzzi, Il giudizio di omologazione …, cit.,p. 24.
Trib. Modena, 25 agosto 2023. La sentenza è resa in materia di formazione delle classi nel PRO ma esprime un concetto universale.