La cessione competitiva dell’azienda nella Composizione negoziata

Pubblicato in GIUS
il 19 Novembre 2024

di Sido Bonfatti – Pier Giorgio Cecchini

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Per mezzo della composizione negoziata della crisi è possibile trasferire l’azienda senza gli effetti di cui all’art. 2560, comma 2, c.c. Il presente scritto tratta di tale cessione, della relativa natura privatistica e del requisito di “funzionalità” (alla continuità aziendale e alla miglior soddisfazione dei creditori) che essa è chiamata a rispettare. Ne viene, infine, descritto il procedimento e i principi che lo reggono, con particolare riferimento a quello di competitività, con un accenno finale alle novità del Correttivo-ter in tema di vendita condizionata.

La solidarietà nei trasferimenti di azienda

L’art. 2560, comma 2, c.c. prevede che in caso di cessione di azienda l’acquirente risponde dei debiti inerenti all’esercizio della stessa anteriori al trasferimento, se essi risultano dai libri contabili obbligatori.

La disposizione contempera due interessi confliggenti.

Da un lato attribuisce ai creditori del cedente un sostanziale “diritto di seguito” sui beni trasferiti al cessionario, che li tutela dal rischio che questi sostituisca ad attivi espropriabili una liquidità facilmente occultabile. La norma è ovviamente inderogabile, coinvolgendo i diritti di soggetti – i creditori del cedente – che sono terzi rispetto al contratto di cessione.

Dall’altro limita la responsabilità del cessionario ai soli debiti risultanti dai libri contabili del cedente, cioè di quanto oggettivamente e facilmente accertabile: ciò assicura la certezza dei traffici giuridici relativi alle cessioni di azienda con la finalità di agevolarle, poiché si presume che chi investe denaro acquistandole abbia in programma di farle prosperare (D. Galletti, La responsabilità del cessionario per debiti “inerenti” all’azienda ceduta: una proposta di interpretazione funzionale, in Le Società, 11/2022).

Tale limitazione di responsabilità è interpretata dalla Cassazione in modo rigoroso: quand’anche il cessionario sia a conoscenza per altra via dell’esistenza di un debito, o avrebbe dovuto esserlo, non ne risponde se questo non è indicato nei libri contabili: è fatto salvo soltanto il caso dell’abuso finalizzato a frodare i creditori del cedente per mancanza di alterità soggettiva tra cedente e cessionario, nel qual caso la limitazione della solidarietà del cessionario non opera (Cass. n. 26450/2023).

In caso di cessione di azienda attuata in composizione negoziata, dove pure è presente il rischio del debt laundering, il decreto dirigenziale del 21 marzo 2023 impone condivisibilmente all’esperto di riferire al tribunale se l’acquirente e venditore siano parti correlate: la circostanza in sé non impedisce l’operazione straordinaria ma impone cautele rafforzate.

Anche la procedura di pre-pack nella proposta di direttiva Insolvency III impone all’art. 32 particolari cautele quando la vendita dell’azienda avvenga tra parti strettamente correlate, richiedendo una maggiore competitività della vendita e una più rigorosa verifica del miglior soddisfacimento.

Data la natura solidale della responsabilità dell’art. 2560, comma 2 c.c., il creditore può indifferentemente rivolgersi al cedente e/o al cessionario senza che quest’ultimo possa eccepire la preventiva escussione del primo.

L’art. 2560, comma 2, c.c. si applica per giurisprudenza costante anche al conferimento (Cass. n. 22347/2015); non si applica invece all’affitto ed usufrutto d’azienda, poiché le ipotesi non sono previste dalla norma, mentre si applicherebbe alla sua retrocessione quando avvenga al di fuori di procedure concorsuali, considerato il tenore dell’art. 105 l. fall. ed oggi dell’art. 212, comma 6, c.c.i.i. (Cass. n. 23581/2017).

La deroga alla solidarietà nella composizione negoziata

Quando l’impresa è in crisi o insolvente e presenta una massa debitoria ingente, che può anche superare il valore dell’azienda, la sola limitazione della solidarietà alle obbligazioni risultanti dai libri contabili non è sufficiente ad attrarre investitori: per questo motivo l’art. 22, lett. d), c.c.i.i. prevede che il tribunale possa autorizzare l’imprenditore a trasferire l’azienda escludendo del tutto la solidarietà, cioè «senza gli effetti di cui all’articolo 2560, comma 2 c.c.».

La disposizione intende incentivare l’immediato acquisto dell’azienda in una fase precoce della ristrutturazione (Trib. Piacenza 1° giugno 2023): in difetto della purgazione dei debiti, i potenziali interessati sarebbero indotti ad attendere l’apertura di una successiva procedura concorsuale, e notoriamente il tempo non è galantuomo con le aziende gestite da imprese in crisi.

La disapplicazione della responsabilità solidale opera per trasferimenti di azienda “in qualunque forma”, ma a ben vedere può trattarsi solo di cessioni e conferimenti di azienda: non di affitto ed usufrutto di azienda, per la ragione già illustrata, né di fusioni e scissioni, che pure possono attuare trasferimenti di aziende, poiché soggette al diverso regime di responsabilità degli artt. 2504-bis e 2506-quater c.c. (M. Spiotta, Meglio derogare (all’art. 2560, comma 2, c.c.) quam deficere, Il Fallimento, 1/2024).

Come è evidente sul piano letterale, l’autorizzazione non è necessaria per l’efficacia della cessione d’azienda, bensì per far conseguire all’acquirente il beneficio della esenzione dalla responsabilità solidale dai debiti (Trib. Milano 12 agosto 2023).

A questo proposito, più in generale, si deve sottolineare come gli atti di disposizione posti in essere dall’imprenditore nell’ambito della composizione negoziata siano sempre validi ed efficaci, a prescindere dalla condivisione o dall’autorizzazione di chicchessia: né la mancanza di condivisione dell’esperto (finanche pubblicizzata attraverso l’iscrizione del dissenso nel Registro delle imprese), né la mancata richiesta (ovvero la mancata concessione) della autorizzazione del tribunale impediscono agli atti di disposizione dell’imprenditore di produrre i loro effetti “normali”. Ciò che producono, piuttosto, è la impossibilità di conseguire gli “effetti speciali” che possono derivare dall’ottenere invece, secondo i casi, il consenso dell’esperto (anche nella forma della mancata pubblicizzazione dell’eventuale dissenso) ovvero la autorizzazione giudiziale.

Tra tali “effetti speciali” della autorizzazione del tribunale alla liberazione del cessionario di azienda dai debiti spicca, ai sensi dell’art. 24, commi 2 e 5, la esenzione dall’azione revocatoria concorsuale dell’atto di disposizione e dei pagamenti condivisi e/o autorizzati: e con essa ciò che rappresenta l’altra faccia della medaglia, cioè l’esimente da responsabilità penale dell’eventuale risultato preferenziale prodotto dal compimento dell’atto in discussione ovvero dalla effettuazione dei pagamenti.

Ciò induce allora a valutare se la rilevanza della disciplina prevista nella composizione negoziata per la cessione dell’azienda non debba essere sottolineata con maggior vigore, e non semplicemente richiamando l’esonero da responsabilità del cessionario per le obbligazioni (peraltro soltanto se risultanti dai libri contabili obbligatori) incombenti sul cedente: poiché non si può escludere che tale disciplina consenta il compimento di operazioni che altrimenti non sarebbero ragionevolmente concepibili. In particolare, operazioni di acquisto di aziende nelle quali il corrispettivo da corrispondere non viene calcolato stimando il valore degli attivi oggetto della cessione (che rappresenterebbero un valore per così dire “lordo“), per distribuirlo poi “equamente” tra tutti i creditori; ma viene determinato calcolando il differenziale (che rappresenterebbe un valore per così dire “netto”) tra le attività acquisite dal cessionario e le passività aziendali dallo stesso accollate, con il risultato di rendere estremamente più agevole, da un punto di vista finanziario, il perfezionamento dell’operazione, perché gran parte del prezzo verrebbe soddisfatta accollandosi passività da soddisfare soltanto in futuro (e nei limiti in cui se ne abbia la concreta possibilità….).

Tale modus operandi produce un’evidente violazione della par condicio creditorum: giacché i creditori del cedente accollati dal cessionario possono confidare nella solvibilità dello stesso (altrimenti, non andrebbe in giro a comprare aziende…), ed auspicare un soddisfacimento integrale, mentre i creditori del cedente esclusi dall’accollo saranno esposti al rischio di un soddisfacimento soltanto parziale, perché lo stesso sarà soggetto alle regole del concorso che dovranno essere osservate nella successiva procedura attraverso la quale troverà definizione la crisi dell’imprenditore cedente.

Questo è stato il sistema che nel passato ha favorito il “salvataggio” delle banche: giacché le operazioni cc.dd. di “cessione aggregata” disciplinate dal Testo Unico Bancario (ante riforma) consentivano per l’appunto di salvare talune filiali con la cessione in blocco di attivi e passivi a banche acquirenti (con conseguente soddisfacimento integrale dei relativi depositanti), anche qualora altre filiali non avessero trovato uguale destino (con conseguente soddisfacimento soltanto concorsuale dei relativi depositanti). L’integrazione subita dall’articolo 90, comma 2, TUB dall’articolo 1, comma 32, d. lgs. n. 181/2015, che impone l’osservanza del “rispetto della parità di trattamento dei creditori”, sembrava avere definitivamente archiviato questo istituto: ma le esperienze delle successive crisi bancarie (a partire dalle “due Venete”) lo hanno immediatamente ripristinato (in argomento S. Bonfatti, La disciplina delle situazioni di “crisi” degli intermediari finanziari, Milano, 2021, 254 ss.).

Ebbene, il commentato articolo 22, comma 1, lett. d), c.c.i.i. consente di conseguire proprio questo obiettivo: la autorizzazione del tribunale per l’esonero da responsabilità per le obbligazioni facenti capo al cedente produce l’esenzione da revocatoria concorsuale (e corrispondente esimente da responsabilità penale per l’effetto “preferenziale“ prodotto) dei pagamenti posti in essere dallo stesso mediante una operazione di cessione dell’azienda con accollo di passività (non necessariamente tutte, dovendosi certamente consentire l’esclusione di quelle non inerenti) da parte del cessionario: ed in tal modo produce un incentivo formidabile a procedere ad acquisizioni che potremmo definire “autofinanziate”.

L’accollo, inoltre, risolve alla radice il problema della purgazione dei beni trasferiti da formalità pregiudizievoli, come vedremo più oltre.

L’art. 22 precisa che l’autorizzazione non incide sui diritti dei lavoratori (“resta fermo l’articolo 2112 del codice civile”); alla stessa conclusione, peraltro, si giunge anche con una interpretazione a contrario dell’art. 47 l. n. 428/1990.

Quanto alla solidarietà fiscale, è parimenti esclusa in caso di cessioni di aziende effettuate a decorrere dal 29 giugno 2024 nell’ambito della composizione negoziata, grazie alla modifica dell’art. 14, comma 5-bis, d.lgs. 472/1997: tuttavia il beneficio è limitato soltanto alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024 (art. 5 d.lgs. 87/2024).

Giova qui ricordare che la pendenza di un procedimento autorizzativo per la cessione dell’azienda legittima la proroga automatica dell’incarico dell’esperto (art. 17, comma 7).

Natura privatistica della vendita

La cessione d’azienda nella composizione negoziata è privatistica e non assimilabile ad una vendita coattiva (G. D’Attorre, Le regole di distribuzione del valore, Il Fallimento, 10/2022, 1225); ne è riprova la circostanza che non sono richiamate le disposizioni di favore (per il cedente) di cui agli artt. dal 2919 a 2929 c.c. in tema di vendita forzata, come invece avviene nel concordato semplificato ed in continuità, e non vi è la nomina di un liquidatore, che in dottrina si ritiene essere il vero elemento discriminante fra vendite forzate e privatistiche (M. Fabiani, La liquidazione dei beni nel concordato preventivo, Il Fallimento, 10/2023, 1199).

Poiché in particolare l’applicazione dell’art. 2922 c.c. comporta la deroga agli artt. da 1490 a 1497 c.c. (Cass. n.14165/2016), ne consegue che il cedente dell’azienda in composizione negoziata è tenuto a garantire che l’azienda sia immune da vizi ed è esposto alla risoluzione per la mancanza delle qualità promesse, essendo tale, ad esempio, la mancanza dell’avviamento (Cass. n. 22075/2023), anche se talvolta nelle vendite aliud pro alio forzate è stato ugualmente riconosciuto il rimedio di diritto privato dell’annullamento (M. Fabiani, cit.). Si tratta comunque di “garanzie” derogabili pattiziamente (anche in caso di mancanza delle qualità promesse: Cass. n. 2313/2016).

Data la natura privatistica della vendita, essa non può avere effetti purgativi dalle formalità pregiudizievoli (così anche Trib Siracusa 14 settembre 2024); ciò determina alternativamente rischi per il cessionario o per il creditore ipotecario (o pignoratizio) del cedente.

Il cessionario acquista (e paga) un immobile ipotecato incluso in un’azienda diventando in sostanza terzo datore di ipoteca, correndo il rischio di essere espropriato dal creditore garantito qualora questi non venga soddisfatto dal cedente l’azienda; circostanza tutt’altro che improbabile, attesa la vacillante condizione di quest’ultimo.

Una volta pagato il prezzo al cedente, il tribunale potrebbe ordinare lacancellazione immediata delle formalità pregiudizievoli, e ciò nel quadro del potere ex art. 22, lett. d) di dettare le misure ritenute opportune al fine di tutelare gli interessi coinvolti, ma questo trasferirebbe il rischio sul creditore ipotecario, che perderebbe la propria garanzia col rischio di non riuscire ad incassare successivamente il prezzo dal cedente per i più svariati motivi: reimpiego nella continuità, assoggettamento ad azioni esecutive e cautelari, dissipazioni dell’imprenditore, distribuzione al di fuori del rispetto delle cause di prelazione. Per risolvere l’impasse, il cessionario può concordare col creditore garantito di accollarsi il debito con le garanzie ad esso inerenti, essendo esclusa, come detto, l’ipotesi di preferenzialità quando l’operazione rientri in una cessione d’azienda autorizzata ex art. 22.

Alternativamente, il tribunale può cancellare le formalità solo quando il cessionario abbia pagato direttamente il creditore ipotecario.

Ancora, nel quadro delle “misure ritenute opportune”, il tribunale può disporre che il prezzo sia depositato su un rapporto bancario vincolatoall’ordine dell’esperto o dell’ausiliario, per essere successivamente distribuito nella misura dovuta, eventualmente falcidiata, al creditore ipotecario. Si deve però trattare della nomina di un vero e proprio custode del patrimonio con funzione cautelare ai sensi dell’art. 54, comma 1, primo periodo c.c.i.i. (applicabile nella composizione negoziata in forza del secondo periodo), che rende il corrispettivo insensibile a ogni evento che possa minarne l’integrità fino anche, in ipotesi, alla successiva apertura di una liquidazione giudiziale.

Non pare invece rassicurante ritenere che nella cessione operi naturalmente la surrogazione reale, cioè il trasferimento della prelazione dal bene originario al bene sostitutivo, il denaro (D. Galletti, Tutela del creditore privilegiato e vendita del bene vincolato nel concordato, IUS Crisi d’Impresa – Il fallimentarista, 2017); tale soluzione, elaborata in materia di offerte concorrenti nel concordato, darebbe luogo ad una garanzia non possessoria priva di formalità e quindi inopponibile ai terzi.

È ammissibile che nell’ambito della cessione sia previsto che il magazzino venga trasferito con un contratto estimatorio con pagamento immediato dei prelievi (purché, deve ritenersi, permanga un presidio di controllo dei prelievi effettivi) e che il contratto preveda una parte fissa del prezzo ed una variabile, c.d. clausola diearn-out (Trib. Reggio Emilia 18 giugno 2024, inedita).

La funzionalità

L’art. 22 condiziona l’autorizzazione giudiziale alla funzionalità della cessione sia rispetto alla continuità aziendale che alla miglior soddisfazione dei creditori.

Il tribunale di Milano con decreto del 12 agosto 2023 ha precisato che la cessione è funzionale: (i) rispetto alla continuità, quando non disgrega valori aziendali, e (ii) rispetto alla migliore soddisfazione dei creditori, quando non pregiudica i loro interessi.

Secondo la medesima giurisprudenza i due elementi della funzionalità devono operare congiuntamente ed in un rapporto paritetico.

Il parametro della miglior soddisfazione merita alcune specificazioni.

Va innanzitutto chiarito che migliore soddisfazione non significa massima, bensì appunto migliore fra le alternative concretamente praticabili; così, ad esempio, quando l’imprenditore detenga un patrimonio di competenze e conoscenze non trasferibili e ciò nonostante preferisca trasferire l’azienda, eventualmente perché “in età”, non gli si potrebbe negare l’autorizzazione ex art. 22 per il solo fatto che la continuità diretta valorizzerebbe meglio quel patrimonio, in quanto si tratterebbe di un’alternativa non concretamente praticabile.

Inoltre, la verifica della miglior soddisfazione richiede astrattamente di offrire la dimostrazione che la cessione dell’azienda è alternativa preferibile alla liquidazione del patrimonio, e ciò richiede verosimilmente separate stime dei due scenari, con possibilità di omettere la stima del complesso aziendale solo se sia già disponibile un’offerta sufficientemente seria per essa. Nella stima del valore di liquidazione occorre tenere anche conto delle azioni revocatorie (Trib. Udine 1° ottobre 2024, inedita) e, va da sé, risarcitorie.

La predisposizione di perizie purtroppo rallenta il procedimento di vendita.

Compatibile con la migliore soddisfazione è la vendita di un’azienda che ha cessato la propria attività nella prospettiva della sua riattivazione da parte del terzo, in quanto si tratta di una ipotesi già contemplata nel concordato preventivo dall’art. 84, comma 2, e non si vede motivo per non applicarla anche nel contesto della composizione negoziata.

Il dominio del principio della maggiore soddisfazione porta a ritenere che nella composizione negoziata, al pari di quanto previsto nel concordato dall’art. 94, comma 6, c.c.i.i., il tribunale in caso di urgenza possa autorizzare la vendita dell’azienda ex art. 22 senza dar luogo alla pubblicità e a procedure competitive, quando possa essere compromesso irreparabilmente l’interesse dei creditori al miglior soddisfacimento.

Un punto di debolezza della cessione di azienda è la c.d. “continuità tradita” (G. D’Attorre, La continuità aziendale tra “scommessa” e “tradimento”, Il fallimento, 8- 9/2024), in quanto il codice non prevede, a differenza dell’amministrazione straordinaria (art. 63 d.lgs. 270/1999) che il cessionario sia obbligato a continuare l’attività per un certo tempo e a mantenere un certo numero di dipendenti. Può all’estremo darsi il caso, non teorico, dell’acquisto di azienda effettuato per eliminare un concorrente.

Il procedimento

Il tribunale deve sentire le parti interessate ed assumere le informazioni necessarie, precisa l’art. 22, comma 2; sono parti interessate, secondo Trib. Milano 12 agosto 2023:

  • i creditori con i quali sono in corso trattative, e non necessariamente tutti i creditori né quanti tra essi sono destinatari delle  misure protettive (se chieste);
  • le rappresentanze sindacali, le quali devono comunque essere coinvolte anche ex art. 47 l. n. 428/1990 quando vi siano più di 15 lavoratori;
  • le parti che per effetto della cessione perderebbero la garanzia generica ex art. 2740 c.c., cioè i titolari di privilegi speciali, i quali non trasferiscono il privilegio sul corrispettivo della cessione;
  • i fornitori con carattere di esclusività o di abitualità, cioè che si trovino in una situazione di sostanziale dipendenza economica dall’azienda da trasferire.

Il provvedimento non cita il cessionario, che però è senz’altro anch’esso parte interessata da sentire (M. Ferro, Le vendite nella fase preconcorsuale e la transizione verso i pre-pack, Il Fallimento, 10/2023, 1183); in taluni casi potrebbe essere opportuno anche sentire le amministrazioni locali e le associazioni di categoria (G. D’Attorre, Il trasferimento dell’azienda nella Composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 2021).

Il tenore letterale della previsione è tale da far ritenere che l’instaurazione del contraddittorio non richieda un’udienza ad hoc, potendo le parti interessate esprimersi con memorie.

L’art. 22 non prevede l’acquisizione del parere dell’esperto, che, se richiesto, non può certamente avere valore vincolante, ma solo l’eventuale nomina di un ausiliario; anche il decreto dirigenziale del 21 marzo 2023 attribuisce all’esperto un ruolo attivo nel processo di vendita (individuazione perimetro, organizzazione data room, selezione degli interessati) solo se richiesto dal tribunale.

Significativo è invece che la proposta di direttiva pre-pack attribuisca un ruolo molto più centrale all’esperto (monitor), essendo previsto all’art. 26 che questi proponga un acquirente dell’azienda in continuità e il giudice autorizzi la vendita.

La competitività

Il tribunale, ai sensi dell’art. 22, lett. d), deve verificare il rispetto del principio di competitività nella vendita dell’azienda.

Competitività significa: (i) un sistema incrementale di offerte, (ii) una adeguata pubblicità, (iii) la trasparenza e (iv) regole prestabilite e non discrezionali di selezione dell’offerente (da ultimo, studio Consiglio Nazionale Notariato n. 41-2024/PC).

Esiste tuttavia il già citato caso di esonero della competitività, cioè la vendita d’urgenza, in analogia con l’art. 94, comma 6, in tema di concordato.

Nella composizione negoziata non sono previste procedure formalizzate di ricerca del miglior offerente, tanto che si è parlato di “competitività liquida” (M. Spiotta, cit.), cioè di una competitività che di volta in volta rappresenti il miglior compromesso tra garanzie procedimentali (che rallentano l’operazione) e conservazione del valore aziendale (che richiede rapidità di azione).

Trattandosi di una verifica del rispetto della competitività, essa può anche essere effettuata a posteriori, qualora il processo di selezione sia stato compiuto dall’imprenditore prima del deposito dell’istanza autorizzativa (Trib. Reggio Emilia 16 marzo 2024).

Si tratta ovviamente di una soluzione pericolosa, soprattutto quando la gravità del dissesto non dia tempo al tribunale di integrare le manchevolezze del processo selettivo (come nel caso trattato da Trib. Parma 4 novembre 2022), ma, qualora da una vendita studiatamente affrettata derivino danni ai creditori, difficilmente potrà operare la business judgment rule, considerato che anche in materia di risanamento essa non opera in caso di assenza di istruttoria, conflitto d’interessi o di scelte palesemente avventate, irragionevoli ed irrazionali (G. D’Attorre, cit.).

Nel caso parmense citato il giudice aveva ritenuto che non fosse sufficiente aver effettuato “plurimi incontri con diverse società” ottenendo due offerte vincolanti, ed aveva imposto la pubblicità su diversi portali; ciò a riprova del fatto che la pubblicità è un elemento intrinseco della competitività, ancor di più considerato che si trattava di una composizione aperta in vigenza del d.l. 118/2021, il quale nulla disponeva in tema di competitività.

Per la pubblicità si possono utilizzare il portale delle vendite pubbliche, il portale del tribunale, i portali specializzati delle aste giudiziali (come Fallco Aste), la stampa, anche nazionale come ilsole24ore ed internazionale come il Financial Times, quando la dimensione dell’azienda lo giustifichi.

Non esiste il vincolo di cui all’art. 216 c.c.i.i. di effettuare la pubblicità almeno trenta giorni prima della gara, ed esiste un provvedimento che lo ha fissato in quarantacinque giorni (Trib. Parma 30 luglio 2024).

È anche opportuno effettuare sollecitazioni dirette ai concorrenti e ad operatori di settori affini tramite l’invio di information memorandum o teaser (dal verbo to tease, quest’ultimo non esplicita il nome della debitrice). Nell’individuare i destinatari, oltre alle fonti interne all’azienda soccorrono le banche dati come Aidadi Moody’s o Leanus, che consentono estrazioni sula base di molteplici parametri, le associazioni di categoria, le quali solitamente riportano sui siti internet l’elenco degli affiliati, e le fiere di settore, in quanto anch’esse pubblicano sui siti i soggetti che vi partecipano.

L’attività di ricerca e selezione può anche essere affidata a soggetti specializzati, come esplicitamente previsto nella liquidazione giudiziale e in diversi strumenti di regolazione della crisi (persino nel sovraindebitamento), i quali talvolta si avvalgono anche di reti internazionali per la ricerca di acquirenti esteri, e che operano generalmente a provvigione, salvo un compenso fisso per la predisposizione dei documenti e le attività iniziali.

La pubblicità e le sollecitazioni dirette possono avere ad oggetto un mero invito a manifestare interesse, a seguito del quale aprire le interlocuzioni, oppure un invito ad offrire, a seguito del quale aprire la gara, oppure ancora un invito a partecipare direttamente alla gara già indetta. Lo stadio dal quale avviare il processo di vendita dipende dal tempo a disposizione e dalla disponibilità di un’offerta originaria.

Previa stipulazione di accordi di riservatezza, occorre mettere a disposizione degli interessati le informazioni rilevanti oscurando comunque i dati sensibili dell’azienda e degli individui coinvolti (nomi dei clienti e dei dipendenti, contratti e offerte in corso etc.) e in modalità non discriminatoria, affinché ciascuno abbia accesso alle stesse informazioni.

A tali fini, la piattaforma della composizione negoziata comprende un’area secretata, accessibile solo all’esperto ed agli interessati, per il caricamento dei documenti e delle offerte a disposizione degli interessati; tuttavia lo strumento non tiene il passo con altri data room professionali per le compravendite di aziende e società, come Datasite, che presentano costi accessibili ed hanno la possibilità di tradurre in automatico i documenti in lingue diverse, di renderli ricercabili per testo, di occultare i nomi riservati, di tenere traccia degli accessi per identificare i soggetti realmente interessati, etc.

Secondo le indicazioni della piattaforma la data room dovrebbe essere accessibile e gestibile dall’esperto, ma non ci sono controindicazioni a che vi accedano ed effettuino i caricamenti, sotto la supervisione del primo, l’imprenditore, i suoi dipendenti e i suoi professionisti.

L’art. 22 nulla dispone sulla comparabilità delle offerte, a differenza dell’art. 91, ma certamente di essa occorre tenere conto anche nella composizione negoziata perché, come giustamente indicato nella relazione illustrativa al d.l. n. 83/2015 che introdusse le offerte concorrenti, ciò concorre a massimizzare il ricavato delle vendite.

Occorrerà in primo luogo impedire le offerte frivole, prescrivendo che siano irrevocabili per un tempo ragionevole a completare il processo di vendita, che non siano per persona da nominare salvo assunzione della promessa del fatto del terzo e che siano cauzionate. È poi opportuno che prevedano termini di pagamento tali da non precludere la partecipazione a soggetti con ampio accesso al credito bancario e che definiscano con precisione il perimetro aziendale ed in linea di principio anche i contratti e i crediti eventualmente oggetto di trasferimento.

Qualora all’esito delle ricerche consti soltanto un’offerta, deve ritenersi che sia possibile dare corso subito alla vendita diretta. Questa ipotesi è a ben vedere sdoganata nel concordato dall’art. 91, comma 3, c.c.i.i.. Viceversa, qualora ne constino due o più, la competitività impone di tenere una gara al rialzo, il cui verbale, a mente dell’art. 2556 c.c. potrà avere valore di contratto o meno a seconda che si tenga davanti a notaio oppure all’esperto.

Tuttavia, molto probabilmente la fase dell’aggiudicazione precederà quella del trasferimento vero e proprio poiché, come illustrato più oltre, vi è interesse a che l’autorizzazione giudiziale sia condizionata al perfezionamento di una delle ipotesi contenute nell’art. 23 c.c.i.i. (vedasi più oltre).

Il miglior offerente

Oggi il massimo soddisfacimento dei creditori non è più la sola stella polare delle ristrutturazioni, essendo stato affiancato dalla finalità della continuità aziendale, che oramai è un valore dell’ordinamento, oltre ad essere un prerequisito dell’autorizzazione ex art. 22, e del suo corollario, la conservazione dei posti di lavoro.

Vi è tuttavia da dubitare che le prospettive di continuità aziendale e dell’occupazione possono entrare in gioco nella vendita competitiva e diventare un parametro di selezione del migliore offerente (così invece M. Arato, La cessione d’azienda nella composizione negoziata, in dirittodellacrisi.it, 2024).

Infatti, non è neppure tecnicamente possibile rilanciare su parametri diversi dal prezzo: come si potrebbe nel corso di una gara incrementare ad esempio l’offerta sui posti di lavoro da conservare? L’impegno non sarebbe coercibile, e neppure credibile, perché a voler salvare tutti i posti di lavoro si finisce per non salvarne nessuno. Ed in ogni caso l’art. 12, comma 2, c.c.i.i. prevede che l’occupazione debba essere conservata solo “nella misura possibile”.

Impegni sulla continuità aziendale e sui posti di lavoro potrebbero essere dirimenti soltanto in via suppletiva, in caso di parità di offerte economiche; ma questa ipotesi non dovrebbe presentarsi mai, perché, come visto, la competitività richiede un sistema incrementale di offerte, cosicché dovrebbe sempre esserci un soggetto che offre di più, salvo casi rari (ad esempio due offerte originarie di pari importo non seguite da alcun rialzo).

Inoltre, dare la preferenza ad un’offerta economica più bassa presentata da un soggetto più rassicurante per natura, dimensione o solidità o che assuma impegni sfidanti sull’occupazione significherebbe violare il canone del miglior soddisfacimento dei creditori, il quale altro non è che una riesposizione del principio no creditor worse off than liquidation espresso dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (e lo si comprende in modo molto chiaro dalla lettura dell’art. 2, n. 5 Dir. 2019/1023); principio secondo il quale il realizzo di un credito in misura inferiore al valore di liquidazione realizza una forma non consentita di esproprio privato.

Pertanto, il prezzo di vendita dell’azienda in going concern è l’unico parametro di riferimento nella selezione del migliore offerente.

Da ultimo, anche la proposta di direttiva pre-pack prevede all’art. 30 che gli Stati membri utilizzino, per la selezione del migliore offerente, gli stessi criteri applicati per la scelta tra offerte concorrenti nelle normali procedure di insolvenza e, sia per l’art. 91 nel concordato preventivo (anch’essa procedura di insolvenza ai sensi del Reg. (UE) n. 2015/848) che per l’art. 216 c.c.i.i. nella liquidazione giudiziale, il criterio selettivo è il corrispettivo.

L’utilizzo del prezzo come criterio di selezione è rassicurante per due motivi: in primo luogo, rende più semplice la scelta dell’offerente; in secondo luogo, esso conferma che «il mestiere del giudice civile è la tutela dei diritti soggettivi (e tali sono i crediti), non l’affievolimento dei diritti soggettivi per perseguire interessi generali e diffusi» (Andrea Zuliani, Consigliere di Cassazione, intervento al seminario di Capri 2024).

Pertanto, che il provvedimento autorizzativo lo precisi o no, la selezione del migliore offerente deve basarsi sul prezzo; solo nella rarissima ipotesi di parità di offerte, gli altri parametri, quali l’occupazione e le garanzie di continuità, possono essere usati in via suppletiva.

La vendita condizionata

Constano in giurisprudenza due provvedimenti (Trib. Milano 12 agosto 2023 e Trib. Parma 30 luglio 2024) che subordinano la deroga alla responsabilità solidale dell’art. 2560 c.c. al successivo raggiungimento di un accordo definitivo con i creditori ex art. 23 (il tribunale di Milano richiama le ipotesi del comma 1 e 2 lett. b) ma stranamente oblitera la lett. a), come osservato anche da M. Spiotta, cit.), ritenendo che l’autorizzazione non possa considerarsi avulsa dall’esito positivo della composizione negoziata. In concreto tale risultato lo si raggiunge imponendo la stipula dell’atto di trasferimento soltanto dopo la conclusione positiva della composizione negoziata.

Altri provvedimenti hanno invece autorizzato la liberazione dai debiti prima della conclusione del percorso della ristrutturazione, e questa opzione pare pressoché indefettibile quando l’attività rischi di fermarsi per asfissia finanziaria.

Il terzo correttivo ha aggiunto il comma 1-bis all’art. 22 precisando invece che l’attuazione del provvedimento di autorizzazione può avvenire anche successivamente alla chiusura della composizione negoziata, se previsto dallo stesso tribunale o se indicato nella relazione finale dell’esperto.

Questa previsione legittima autorizzazioni giudiziali ex art. 22 subordinate a condizioni sospensive (non risolutive) di varia natura, come ad esempio l’ottenimento di autorizzazioni amministrative, atte a manifestarsi dopo la chiusura dell’istanza ed eventualmente anche nell’ambito di un consecutivo piano attestato di risanamento o accordi di ristrutturazione dei debiti, così superando (o forse aggirando) un limite intrinseco di questi due strumenti, i quali non contemplano la deroga all’art. 2560, comma 2 (mentre già derogano alla solidarietà fiscale).

Con riferimento agli accordi di ristrutturazione dei debiti, nulla esclude che l’evento dedotto come condizione possa anche consistere nella stessa sua omologazione.